Page 122 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
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Liceti pensava che la luce secondaria della Luna fosse un altro esempio di questo stesso fenomeno. Il
               minerale  fu  in  seguito  identificato  come  solfato  di  bario  (BaSO4),  naturalmente  luminescente.  Ma
               quando  fu  scoperto,  esso  fu  considerato  un  evento  meraviglioso  e  importante  e  Galileo  stesso  fu
               coinvolto nel suo studio. Nel 1611, mostrò frammenti di queste pietre ad alcuni amici a Roma, tra cui
               Giulio Cesare Lagalla, il primo a riportare del fenomeno. Lagalla lo spiegava dicendo che una certa
               quantità di fuoco e di luce, cui la pietra era stata esposta, era rimasta intrappolata nella pietra, che dopo
               la  rilasciava  lentamente  come  l’acqua  da  una  spugna  (De  phenomenis  in  orbe  Lunae,  Venezia,
               Tommaso Baglioni 1612, p. 58). Liceti sviluppò questa interpretazione nel suo Litheosphorus sive de
               lapide Bononiensi del 1640 (ristampata in Opere di Galileo VIII, pp. 483-486).
                  117  L’eclittica è il percorso apparente del Sole nel cielo durante l’anno. La Luna lo attraversa due
               volte al mese. Se questo avviene durante la Luna nuova, si ha un’eclisse solare; se avviene durante la
               Luna piena, si ha un’eclisse lunare.
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                      Si veda la nota 112 precedente. Nella Prima Giornata del Dialogo sopra i due massimi sistemi
               del mondo, Galileo discute a lungo della Luna (Opere di Galileo VII, pp. 85-126).
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                      Stellarum corea significa letteralmente danza delle stelle. Con questa metafora Galileo vuole
               suggerire che la Terra è partecipe della danza armoniosa delle stelle e dei pianeti in rotazione perpetua.
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                       “La  Terra  –  scrive  Galileo  nel  Dialogo  sopra  i  due  massimi  sistemi  del  mondo  –  a  essa  in
               ricompensa  rende,  quando  ella  n’è  più  bisognosa,  col  refletterle  i  raggi  solari,  una  molto  gagliarda
               illuminazione, e tanto, per mio parere, maggior di quella che a noi vien da lei, quanto la superficie della
               Terra è più grande di quella della Luna” (Opere di Galileo VII, p. 92).
                  121  Galileo scrive “seicento ragioni naturali”, per rendere più efficace l’espressione indefinita di un

               grande numero. Per un caso analogo, si veda la nota 132.
                  122   Si  dice  qualcosa  che  nell’antica  immagine  del  mondo  dava  all’uomo  un  senso  elevato  della
               propria importanza, perché occupava la posizione centrale nell’universo. Come dice Arthur Lovejoy,
               “Ma, in realtà, la tendenza del sistema geocentrico, per la mentalità medievale, era proprio l’opposta.
               Infatti, stare al centro del mondo non significava stare al posto d’onore: anzi era, quello, il posto più
               lontano dall’Empireo, il fondo della creazione, dove ne ristagnavano le sozzure e gli elementi più bassi.
               Il vero centro, infatti, era l’Inferno” (ARTHUR O. LOVEJOY, La Grande Catena dell’Essere, Milano,
               Feltrinelli  1966,  pp.  107-108).  Anche  prima  dell’avvento  dell’idea  cristiana  di  inferno,  Aristotele
               registrava che alcuni scrittori consideravano che la parte più importante e preziosa del mondo non è il
               centro ma piuttosto il limite più esterno o la periferia. “Pensano, infatti, che all’essere più nobile debba
               appartenere la regione più nobile. Ma il fuoco è più nobile della terra, e il limite è più nobile dello
               spazio  intermedio.  D’altro  canto,  l’estremità  e  il  centro  sono  dei  limiti.  Sicché,  basandosi  su  questi
               argomenti, costoro pensano che non la terra, bensì il fuoco si trovi al centro della sfera” (Il cielo ovvero
               ¶∂ƒπ  √Àƒ∞¡√À,  libro  II,  13,  293a,  in  ARISTOTELE, Il cielo,  a  cura  di  ALBERTO JORI,  Milano,
               Bompiani 2002, pp. 294-295). Nel suo De natura deorum, Cicerone pone la domanda retorica: “Allora
               non capiamo neanche questo, che tutto ciò che si trova in alto è superior, ma che la terra, circondata da
               un densissimo strato d’aria, occupa la posizione più bassa? Sicché, per questo stesso motive, quello che
               vediamo verificarsi nel caso di certe regioni e di certe città (cioé che i loro abitanti sono di intelligenza
               meno  acuta  a  causa  della  più  densa  qualità  dell’atmosfera)  si  è  verificato  anche  anche  nel  caso  del
               genere umano, perché è stato collocato in terra, cioè nella zona più densa dell’universo” (CICERONE,
               De natura deorum, libro II, cap. 6, 17; in CICERONE, La natura divina, con introduzione, traduzione e
               note di CESARE MARCO CALCANTE, Milano, Rizzoli 1992, pp. 164-167). Nel dialogo sulla Luna
               di Plutarco si legge che, se sulla Luna ci sono esseri umani, avrebbero l’impressione di essere loro
               l’unica Terra e che la nostra Terra è “una sorta di sedimento e feccia dell’universo” (De facie in orbe
               Lunae 940 E; traduzione di Dario Del Corno. Milano: Adelphi, 2004; p. 102). Nel suo giovanile De
               motu  scritto  intorno  al  1590,  Galileo  operava  ancora  con  questa  struttura:  “dopo  la  sua  costruzione
               meravigliosa, il divino creatore, per non irritare la vista delle anime degli esseri immortali e dei beati,
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