Page 121 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
P. 121
potevano smentire la presenza della luce secondaria o del bagliore cinereo durante le fasi di Luna
crescente o calante, e questo rappresentava un problema per loro. Essi fecero il tentativo di aggirarlo,
postulando che la Luna era illuminata debolmente non grazie alla luce del Sole, riflessa dalla superficie
terrestre, ma grazie a una propria brillantezza interna. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo, l’aristotelico Simplicio invoca questa spiegazione, immediatamente confutata (Opere di Galileo
VII, pp. 93-94).
111
La spiegazione che Galileo diede del colore rossastro della Luna visibile dirante le eclissi, si
basa sull’ipotesi erronea che la Luna sia avvolta da una regione densa di vapori, seguendo la teoria
presente nel De facie in orbe lunae di Plutarco (21, 933F-935B). Kepler si avvicinò di più alla verità,
quando giustificò tal coloritura con la riflessione e il parziale assorbimento dei raggi del Sole che
entrano in contatto con l’atmosfera terrestre (JOHANN KEPLER, Ad Vitellionem paralipomena quibus
astronomiae pars optica traditur, in Gesammelte Werke, a cura di MAX CASPAR, Monaco, C.H.
Beck’sche Verlagsbuchhandlung 1938- , vol. II, pp. 241-242). Mentre la Luna rimane nel cono
d’ombra della Terra durante l’eclisse, la luce indiretta del Sole riesce ancora a raggiungerla e a
illuminarla. Oggi si sa che questa luce deve prima attraversare l’atmosfera terrestre e, poiché le
lunghezze d’onda a una estremità dello spettro prossime al violetto sono più disperse dalle particelle di
polvere dell’atmosfera di quelle vicino al rosso dell’altra estremità dello spettro, la luce che ne risulta e
che noi percepiamo è rossa. Se la Terra non avesse atmosfera, la Luna sarebbe completamente nera
durante un’eclisse. Questo è anche il motivo per cui il Sole appare rosso all’alba e al tramonto.
112 Più avanti (primo capoverso a p. 120), Galileo farà ancora una volta riferimento al suo futuro
libro con il titolo di Sistema del mondo. Nella sua lettera a Belisario Vinta, segretario di Stato del
Granducato di Toscana, del 7 maggio 1610, egli lo chiama De sistemate seu constitutione universi
(Opere di Galileo X, p. 351; VII, 3). Ma più tardi, egli lo modificò in Dialogo sulle maree, per
enfatizzare la prova fisica del moto della Terra. Quando i censori fecero obiezione a questo titolo, egli
lo cambiò in Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, che verrà pubblicata solo nel 1632.
113 Questo è un eccessivo atto d’accusa contro l’idea che Venere possa essere responsabile
dell’illuminazione secondaria della Luna. Nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, Galileo
chiama la proposta una vanità (Opere di Galileo VI, p. 116) e il motivo potrebbe essere che quest’idea
era stata presa in seria considerazione dall’astronomo danese Tycho Brahe, per il quale Galileo nutriva
poca simpatia. Non ne approvava il sistema, in cui la Terra era ferma mentre tutti gli altri pianeti
ruotavano attorno al Sole che, a sua volta, orbitava attorno alla Terra. Kepler aveva preso le distanze
dalla teoria di Tycho sul ruolo di Venere nel suo Ad Vitellionem paralipomena quibus astronomiae
pars optica traditur (JOHANN KEPLER, Gesammelte Werke, a cura di MAX CASPAR, Monaco, C.H.
Beck’sche Verlagsbuchhandlung 1938- , vol. 2, p. 242), ma ricordò a Galileo che non era senza valore
(Dissertatio cum Nuncio Sidereo, 19 aprile 1610, Opere di Galileo III, p. 117).
114 La congiunzione si ha quando Sole, Terra e Luna sono allineati in questo esatto ordine.
115 L’aspetto sestile si ha quando la Luna forma un angolo di 60° con vertice la Terra, contati a
partire dalla congiunzione. Si veda la nota 109.
116 La teoria che la luce secondaria della Luna sia causata dalla luce solare si basa sull’ipotesi che il
globo lunare sia un qualcosa di trasparente e che, quando è esposta ai raggi del Sole, s’inzuppi di luce
se così si può dire. Johann Locher, un giovane studente dell’Università bavarese di Ingolstadt, sviluppò
questa idea in una piccola monografia intitolata Disquisitiones mathematicae de controversiis de
novitatibus astronomicis, che apparve nel 1614. Galileo sapeva che egli l’aveva scritta sotto la guida
del suo insegnante, Christoph Scheiner, e stroncò tutte le loro argomentazioni nel suo Dialogo sopra i
due massimi sistemi del mondo (Opere di Galileo VII, pp. 117-121). A dispetto della confutazione di
Galileo, la teoria fu ripresa da Fortunio Liceti, un filosofo che era stato collega di Galileo all’Università
di Padova, in un libro dedicato a un minerale, recentemente scoperto, che brillava di notte dopo essere
stato esposto al Sole durante il giorno. Era chiamato pietra di Bologna, dal luogo in cui fu trovato.