Page 125 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
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137 Galaxia è la parola greca per Via Lattea, da γάλ (gàla) che significa latte.
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La parola nebulosa non è qui utilizzata nell’accezione moderna di nube interstellare di polveri o
gas, ma nel senso più ampio di con sembianza di nuvola (dal latino nebula che significa nuvola), come
si trova nell’Almagesto di Tolomeo che elenca sette formazioni di questo tipo, includendo gli ammassi
stellari di Orione e Praesepe descritti da Galileo.
139 Le due stelle più grandi nell’incisione della nebulosa Praesepe alla pagina successiva sono gli
Aselli o Asini, cui ora ci si riferisce come a Á e ‰ del Cancro. L’area che assomiglia a una nube
compresa tra le due è quello che Tolomeo aveva catalogato come nebulosa.
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In questa sezione, Galileo si riferisce ai satelliti di Giove come a dei pianeti e non a stelle
cosmiche, come le aveva chiamate quando scrisse il frontespizio interno dell’opera.
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Galileo enfatizzò quest’aspetto anche il 7 gennaio 1610: “possiamo credere di essere stati i primi
al mondo a scoprire tanto da vicino et così distintamente qualche cosa dei corpi celesti” (Opere di
Galileo X, p. 277).
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Alla fine di questa descrizione del telescopio Galileo scrisse: “nei due mesi al massimo appena
trascorsi” che chiaramente si riferiscono alle osservazioni fatte nei due mesi precedenti, vale a dire da
novembre 1609 in poi. Qui egli dice “proxime”, cioè “al massimo”. Galileo probabilmente scrisse
questa frase all’inizio di febbraio 1610 e non sapeva ancora di poter registrare le sue osservazioni dei
satelliti di Giove fino al 2 marzo 1610.
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Per la determinazione dei periodi, si veda l’Introduzione alle pp. 50-52.
144 Si vedano le pp. 91-96 del Sidereus Nuncius e l’Introduzione alle pp. 29-33.
145 L’osservazione è registrata come segue nella lettera di Galileo del 7 gennaio 1610: “molte stelle
fisse si veggono con l’occhiale, che senza non si discernono; et pur questa sera ho veduto Giove
accompagnato da 3 stelle fisse, totalmente invisibili per la loro piccolezza” (Opere di Galileo X, p.
277). La “prima ora della notte seguente” non si riferisce a un’ora dopo la mezzanotte, come avviene
per noi. Al tempo di Galileo, le ore erano contate “dal tramonto” e il giorno legale incominciava e
terminava con il tramontare del Sole. La prima ora, a Padova, del 7 gennaio 1610 iniziò alle 16.30 circa
del nostro giorno. In questo giorno, Galileo incominciò a tenere un registro astronomico delle sue
osservazioni (si veda JEAN MEEUS, Galileo’s First Records of Jupiter’s Satellites, «Sky and
Telescope» 24 (1962), pp. 137-139).
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Da novembre 1609, Galileo stava utilizzando un telescopio che ingrandiva 20 volte. Nella sua
lettera del 7 gennaio 1610, parla di uno che ingrandisce 30 volte, ma che non è ancora pronto: “sendo
intorno a finire un occhiale che mi avvicinerà la luna a meno di 2 diametri della terra” (Opere di
Galileo X, p. 277).
147 Se i tre corpi celesti fossero stati delle stelle, il fatto che essi giacessero su una retta parallela
all’eclittica avrebbe dato a Galileo la possibilità di misurare il movimento di Giove in modo esatto.
148 Si veda anche l’Introduzione.
149 In questo giorno, Galileo fece un’annotazione in italiano nel suo registro astronomico, come
aveva fatto fino allora, ma a metà iniziò a scrivere in latino. L’idea che i corpi celesti vicini a Giove
erano satelliti può avergli fatto pensare di pubblicare questa notizia straordinaria in latino, il linguaggio
della comunità scientifica del tempo.
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Nella corrispondente annotazione nel suo registro astronomico, Galileo stima la distanza tra
Giove e i satelliti occidentali più remoti come “quattro volte il diametro di Giove” (Opere di Galileo
III, p. 428). Nel Sidereus Nuncius, egli esprime la distanza in minuti, cosa che conferma la sua stima
del diametro di Giove in 2’. Le dimensioni relative delle orbite della Terra e di Giove attorno al Sole
sono tali che le variazioni nella separazione di Giove e della Terra sono piccole. Il diametro apparente