Page 124 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
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grandezza vista a occhio nudo, e così via. L’idea è interessante ma Galileo non aveva un telescopio che
               gli permettesse di farlo in modo appropriato.
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                      Non era ancora pubblicato il Sidereus Nuncius, che Galileo iniziava a pensare a una seconda
               edizione che doveva contenere nuovo materiale e che sarebbe stata realizzata in italiano. “Sarà anco
               necessario tra brevissimo tempo ristampare l’opera, compita con moltissime osservazioni, le quali vo
               continuando,  et  con  molte  et  bellissime  fiure  tagliate  in  rame  da  valente  huomo,  il  quale  ho  già
               incaparrato, et lo conduco meco a Padova; per li quali disegni si rappresentino a capello le figure di
               tutta una lunazione, le quali sono cosa mirabile da vedersi, et di più molte imagini celesti so con tutte le
               stelle che veramente vi sono, le quali saranno più che dieci volte tanto che le conosciute sin qui, et a
               presso tutte nove costellazioni che sin qui sono state credute stelle nebulose, ma in effetto sono gruppi
               di assaissime stelle unite insieme. Spero ancora che haverò potuto definire i periodi de i nuovi pianeti.
               Questa credo che bisognerà farla toscana, sendone da moltissimi stato richiesto sin qui; oltre che non
               credo che siano per mancare molti componimenti di tutti i poeti toscani, già che so che qui sono belli
               ingegni che scrivono. Questa seconda edizione haverei gran desiderio che fusse fatta più proporzionata
               alla grandezza del Padrone, che alla debolezza del servo: però in tutto mi rimetto a i cenni di S.A.”
               (bozza della lettera a Belisario Vinta del 19 marzo 1610, Opere di Galileo X, p. 299). Galileo comprese
               che nuove stelle sarebbero state rapidamente scoperte tanto presto quanto il telescopio veniva rivolto al
               cielo dagli astronomi. I gesuiti romani erano di quelli, e Cristoforo Clavio informò Galileo che anche
               prima della pubblicazione del Sidereus Nuncius essi avevano osservato “Già molto prima havevamo
               vedute moltissime stelle nelle Pleiadi, Cancro, Orione et Via Lactea, che senza l’instromento non si
               veggono” (lettera a Galileo del 17 dicembre 1610, Opere di Galileo X, p. 484).
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                      “Cinquecento” si deve intendere con moltissime e non come il risultato di un attento conteggio
               del numero di stelle da parte di Galileo. Per un caso analogo, si veda la nota 121.
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                       È  sorprendente  che  Galileo  non  faccia  menzione  della  nebulosa  (una  tenue  massa  di  gas  o
               polveri dello spazio tra le stelle), caratteristica notevole della spada di Orione. Fu osservata nel 1610
               dallo scienziato francese Peiresc con uno strumento che era inferiore a quello di Galileo (SEYMOUR
               L. CHAPIN, The Astronomical Activities of Nicolas Claude Fabri de Peiresc, «Isis» 48 (1957), pp. 19-
               20). Galileo può aver passato sotto silenzio la nebulosa perché credeva si potesse risolvere in singole
               stelle con l’aiuto di un telescopio più potente (si veda OWEN GINGERICH, The Mysterious Nebulae,
               1610-1924, «Journal of the Royal Astronomical Society of Canada» 81 (1987), pp. 113-127).
                  134  Nella mitologia greca, le sette figlie di Atlante e di Pleione furono trasformate in stelle. Sei sono
               più luminose di quelle di quinta grandezza. La settima, assieme ad altre due, che è più luminosa di
               quelle di sesta grandezza, è visibile soltanto alle persone con una vista particolarmente buona.
                  135  Nel linguaggio dell’astronomia, l’asterismo è lo schema di una parte della costellazione.
                  136  Aristotele riteneva che la Via Lattea fosse una sorta di densa nebbia nella regione degli elementi
               formata,  come  le  comete,  dai  vapori  caldi  che  salgono  dalla  parte  superiore  della  sfera  terrestre
               (Metereologica libro 1, cap. 8, 345 A 11 – 346 B 15). Averroè e Alberto Magno dedussero che la Via
               Lattea  fosse  una  collezione  di  piccole  stelle,  dato  che  non  mostrava  parallasse,  movimento  o
               cambiamento. L’autore del De placitis philosophorum (III, I, 6), che allora si pensava fosse Plutarco,
               attribuisce questa ipotesi a Democrito, come fa anche Macrobio nel suo Commentarium in Somnium
               Scipionis (XV, 6). Alla fine del Cinquecento, l’astronomo Tycho Brahe sostenne che la Via Lattea era
               fatta  della  stessa  sostanza  delle  stelle,  ma  con  una  caratteristica  di  maggior  diffusione.  Cristoforo
               Clavio, che insegnava al Collegio Romano in questo periodo, considerò più probabile che la Via Lattea
               fosse una parte densa dell’etere che poteva assorbire luce dal Sole, un’opinione che il telescopio stava
               per screditare. Per la storia della Via Lattea, si vedano STANLEY L. JAKI, The Milky Way, an Elusive
               Road to Science, New York, Science History Publications 1972 e la nota di Isabelle Pantin nella sua
               edizione e traduzione francese del Sidereus Nuncius di Galileo, Parigi, Les Belles Lettres 1992, pp. 82-
               83).
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