Page 107 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
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l’affetto cortese et pio del Principe – scrive Galileo –, figurato per la pietra, che a sollevare et non a
               opprimere  i  suoi  vassalli  solamente  intende,  fa  che  quelli,  rappresentati  per  i  ferri,  ad  amarlo  et
               obbedirlo si convertino”. Una calamita sferica era un simbolo appropriato – aggiunse Galileo –, perché
               l’emblema della famiglia de’ Medici consisteva in tre palle, e dato che il nome del principe Cosmo
               valeva  anche  come  cosmo,  cioè  “la  grande  sfera  dell’universo”  (Opere  di  Galileo  X,  p.  222).  Per
               assicurarsi che la metafora non si perdesse, Galileo suggerì di fondere una medaglia commemorativa
               con l’impresa su un lato e sull’altro il ritratto di Cosimo, con il motto “Magnus Magnes Cosmos”, cioè
               “Cosimo è il Grande Magnete” (Opere di Galileo X, p. 223). Non sembra però che la sua proposta
               abbia ricevuto l’approvazione della corte.
                  10  Nel 1607, lo stampatore veneziano Tommaso Baglioni aveva già pubblicato di Galileo una Difesa
               contro  alle  calunnie  &  imposture  di  Baldassar  Capra,  un  giovane  scolaro  che  aveva  pubblicato  in
               latino un plagio del suo libro sul compasso geometrico e militare (Opere di Galileo II, pp. 515-599).
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                     Il primo de’ Medici a portare il titolo di granduca fu Cosimo I, che regnò dal 1570 al 1574. Gli
               succedette il figlio maggiore Francesco I, che non ebbe eredi, e fu seguito dal fratello Ferdinando I, che
               morì il 3 febbraio 1609, quando Cosimo II (12 maggio 1590 – 28 febbraio 1621) divenne il quarto
               granduca.
                  12  Galileo ha in mente un verso delle Elegie di Sesto Properzio, poeta romano vissuto nella seconda
               metà del primo secolo a.C.: “Queste poesie saranno altrettanti memoriali della tua bellezza. / Infatti le
               dure pietre delle Piramidi che si innalzano verso il cielo, / né la dimora di Giove Eleo che imita il cielo,
               /  né  la  torreggiante  mole  del  sepolcro  di  Mausolo  /  sfuggono  alla  estrema  necessità  della  morte”
               (Elegie, libro III, 2, versi 18-22, in SESTO PROPERZIO, Elegie, edizione critica e traduzione a cura di
               GIANCARLO GIARDINA, Roma, Edizioni dell’Ateneo 2005, pp. 238-239), un verso che riecheggia
               la proverbiale altezza delle piramidi descritta da Orazio. A tal proposito, si veda la nota 13. Si veda H.
               DARREL RUTKIN,  Celestial  Offerings:  Astrological  Motifs  in  the  Dedicatory  Letters  of  Kepler’s
               “Astronomia  Nova”  and  Galileo’s  “Sidereus  Nuncius”,  in  WILLIAM  R.  NEWMAN-ANTHONY
               GRAFTON (eds.), Secrets of Nature, Cambridge, MA, MIT Press 2001, pp. 133-172.
                  13  Il passaggio è suggerito da una delle più note odi di Orazio: “Ho levato un ricordo cha ha più vita
               del bronzo, / più alto del regale riposo delle piramidi: / e non lo distruggerà la pioggia / che consuma, il
               folle  vento,  l’eterna  /  catena  degli  anni,  la  fuga  del  tempo”  (Carmina,  libro  III,  30,  versi  1-5)  in
               QUINTO ORAZIO FLACCO, Odi ed epodi, introduzione di ALFONSO TRAINA, traduzione e note di
               Enzo Mandruzzato, Milano, BUR 2002, pp. 336-337).
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                     Nell’astronomia tolemaica, gli astri sono incastonati su sfere cristalline, trasparenti e incorruttibili
               in perenne rotazione uniforme attorno al centro del mondo, com’era chiamato allora l’universo. Ogni
               corpo celeste, che non si muoveva in sincrono con lo sfondo stellato, doveva appartenere a una diversa
               sfera. Questo avveniva per la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno in rotazione tra
               la Terra e il cielo delle stelle fisse.
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                      I  primi  ad  avere  il  diritto  di  assurgere  al  cielo  erano,  ovviamente,  gli  dèi  dell’Olimpo.
               Innanzitutto, Giove (per i latini) - Zeus (per i greci), padre degli dèi e reggente del cosmo, dei fenomeni
               atmosferici e del fulmine. Come dio del cielo luminoso, gli spettava la stella più brillante, il pianeta
               Giove  appunto.  Poi,  Marte  -  Ares,  dio  della  guerra  e  figlio  di  Zeus  ed  Era,  era  il  secondo  per
               importanza. Sono in loro compagnia anche Mercurio - Ermes, figlio di Zeus e di Maia (la più giovane
               delle Pleiadi, le sette sorelle figlie del gigante Atlante, che danno il nome a una costellazione), Venere e
               Saturno.
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                     Ercole - Eracle non è una divinità ma un eroe, figlio di Zeus e di Alcmena. È menzionato perché
               nel  mito  egli  rappresenta  la  virtù  che  rende  immortali.  È  anche  l’eroe  divino  protettore  di  Firenze.
               Importanti esponenti della famiglia de’ Medici, quali ad esempio Lorenzo il Magnifico e Cosimo I,
               avevano affiancato la sua effigie ai simboli tradizionali della casata (J. COX-REARICK, Dinasty and
               destiny  in  Medici  art,  Princeton  NJ,  Princeton  University  Press  1984,  pp.  186-188,  pp.  253-254,  p.
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