Page 106 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
P. 106
7 Galileo riconobbe la priorità degli olandesi, ma insistette che non era stato informato del modo in
cui essi costruirono il loro telescopio. Fu soltanto “dopo esser stato illuminato dalla grazia divina”,
come scrive più avanti (si veda la traduzione a p. 89 del Sidereus Nuncius), che comprese come
combinare due lenti diverse per far apparire gli oggetti più grandi. La bontà dei suoi strumenti fu
davvero notevole, tanto da restare ineguagliata per anni. Questo fu reso possibile dalla qualità delle
lenti di Murano, che avevano poche impurità e una buona omogeneità, come aveva chiaramente
compreso Giovanni Bartoli (Opere di Galileo X, p. 260).
8 Galileo utilizzava la parola planetae per descrivere i quattro corpi celesti in moto attorno a Giove.
Commentando questa scoperta, l’astronomo tedesco Johann Kepler vuole dare un nome più specifico a
questi pianeti secondari. Egli propose inizialmente circulatores, nella lettera a Galileo del 19 aprile
1610 (Opere di Galileo X, p. 337, linea 670), pubblicata a Praga come Dissertatio cum Nuncio Sidereo
nel maggio dello stesso anno. Ma sei mesi più tardi, iniziò a chiamarli Joviales satellites, cioè satelliti
di Giove (lettera a Galileo del 25 ottobre 1610, Opere di Galileo X, p. 458, linea 50.) Il termine satellite
apparve in seguito sul frontespizio del resoconto delle proprie osservazioni (JOHANN KEPLER,
Narratio de observatis a se quattuor Jovis satellitibus erronibus, Francoforte, Zacharias Palthenius
1611). Il gesuita Paul Guldin, scrivendo da Roma a un collega a Monaco, applicò la parola a ciò che a
lui, come a Galileo, sembrarono essere due corpi in moto attorno a Saturno, quando in realtà erano le
estremità dell’anello che giace sul suo piano equatoriale (lettera a Johann Lanz del 13 febbraio 1611, in
Christoph Clavius e l’attività scientifica dei Gesuiti nell’età di Galileo, a cura di UGO BALDINI,
Roma, Bulzoni 1995, p. 119.) Galileo non utilizzò mai la parola satellite, forse perchè in latino essa
significava non solo custode o guardia del corpo, ma anche complice o scagnozzo. Secondo la
cosmologia aristotelica, tutti i corpi celesti erano fatti della medesima sostanza incorruttibile e
trasparente ed erano chiamati stelle. Le stelle della volta celeste, che apparentemente si muovono tutte
insieme attorno alla Terra in ventiquattro ore e che non cambiano le proprie distanze mutue, sono
chiamate stelle fisse. Le sette stelle, più vicine alla Terra e che cambiano posizione rispetto alle stelle
fisse, sono dette stelle erranti o pianeti, dal greco λ νήτη (planētēs) che si traduce con vagante.
9
Galileo aveva pensato di chiamare i satelliti Cosmici, soluzione che gli avrebbe permesso di
dedicarli esclusivamente a Cosimo II, giocando sull’ambiguità semantica tra Cosmo, il nome latino del
granduca Cosimo II, e cosmico. Ma poiché il granduca aveva tre fratelli, aveva anche pensato di
chiamarli Medicei, in onore dell’intera famiglia. Il 13 febbraio 1610, Galileo scrisse al segretario di
Stato Belisario Vinta chiedendogli un parere (Opere di Galileo X, p. 283.) Vinta gli rispose il 20
febbraio che il secondo titolo era più appropriato, poiché cosmici si sarebbe potuto interpretare in
differenti modi, mentre Medicei era inequivocabile (Opere di Galileo X, pp. 284-285.) Ma Galileo,
temendo che qualcuno potesse pubblicare prima di lui, aveva già portato avanti la stampa del
frontespizio che riportava Cosmica Sidera senza attendere la risposta di Vinta. Quando gli giunse la
lettera di Vinta, egli capì che aveva azzardato il titolo sbagliato e incollò sottili strisce di carta con
scritto Medicea sopra la parola Cosmica. La correzione non fu però fatta su tutte le copie, il che
conferma che la sostituzione avvenne soltanto in corso di stampa. L’aggettivo Mediceo, con cui Galileo
indicava i satelliti di Giove, rimase soltanto per pochi anni. La mitologia vinse sull’adulazione politica
e ai quattro satelliti furono assegnati i nomi di Io, Europa, Ganimede e Callisto, come fu suggerito da
Simon Mayr nel suo Mundus Jovialis, apparso a Norimberga nel 1614. A oggi, sono stati scoperti
sessantatré satelliti in orbita attorno a Giove e per questa ragione gli astronomi ritengono più utile
riferirsi a essi con numeri romani che indicano la loro distanza rispetto al pianeta. Questo non era il
primo tentativo di Galileo di ingraziarsi il favore dei Medici. Nel 1606, aveva dedicato il suo Le
operazioni con il compasso geometrico e militare al giovane Cosimo (Opere di Galileo II, pp. 367-368)
e nel settembre del 1608, aveva scritto alla granduchessa Cristina di Lorena in occasione
dell’imminente matrimonio di Cosimo con Maria Maddalena d’Austria, per proporre un’impresa, cioè
un disegno simbolico adatto alla circostanza. Egli voleva mettere al centro una calamita sferica (ne
aveva appena venduta una al granduca!) con il motto “Vim facit amor”, cioè “l’amore dà forza”. “Così