Page 105 - Galileo Galilei - Sidereus nuncius ovvero Avviso Sidereo.
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ROSEN, The Title of Galileo’s “Sidereus Nuncius”, «Isis» 41 (1950), pp. 287-289.
                  2  Inizialmente, Galileo aveva pensato di utilizzare l’aggettivo astronomico, come si può vedere dal
               titolo che compare all’interno dell’opera dopo la dedica (p. 86) e che riporta messaggio astronomico.
                  3   Destinatario  dell’opera  è  la  comunità  accademica  dei  filosofi  e  degli  astronomi  di  professione.
               Questa è la ragione del perché egli scrisse in latino, il linguaggio dotto e internazionale della sua epoca.
                  4  Patrizio è usato qui con il significato di membro della nobiltà. La famiglia fiorentina da cui Galileo
               discendeva era in origine chiamata Buonaiuti. Il suo trisavolo, Galileo Buonaiuti (1370-1445), insegnò
               medicina  e  fu  eletto  priore  (l’organo  di  governo  di  Firenze)  per  due  volte  e  nel  1445  ricoprì
               l’importante carica di gonfaloniere di giustizia (giudice di un’alta corte). Di conseguenza, sembra che
               un ramo della famiglia prendesse il nome Galilei. Questo primo Galileo Galilei ebbe il raro privilegio di
               essere tumulato nella chiesa di Santa Croce, dove anche il nostro Galileo sarebbe stato accolto due
               secoli più tardi. Quando le fortune familiari diminuirono durante il Cinquecento, i Galilei lasciarono
               Firenze per vivere in campagna. Il padre di Galileo, un insegnante di musica e musicologo, ritornò a
               Firenze nel 1574, dieci anni dopo la nascita di Galileo a Pisa.
                  5  Galileo insegnò matematica all’Università di Pisa dal 1589 sino all’autunno del 1592, quando prese
               l’incarico con la stessa posizione all’Università di Padova, con un aumento di stipendio. Nel settembre
               del 1610, egli ritornò in Toscana per diventare Primo Filosofo e Matematico del Granduca. Se fosse
               rimasto a Padova, avrebbe probabilmente evitato gran parte delle difficoltà in cui incorse qualche anno
               più  tardi  con  i  giudici  romani.  Dopo  la  sua  condanna,  scrisse  a  un  amico,  che  era  appena  stato
               richiamato  a  Padova,  “non  senza  invidia  sento  il  suo  ritorno  a  Padova,  dove  consumai  li  18  anni
               migliori  di  tutta  la  mia  età.  Goda  di  cotesta  libertà  e  delle  tante  amicizie  che  ha  contratte  costì  e
               nell’alma città di Venezia” (lettera a Fortunio Liceti del 23 giugno 1640, Opere di Galileo XVIII, p.
               209). I doveri di Galileo a Padova non erano onerosi: doveva insegnare soltanto sessanta ore l’anno.
               All’Università  dava  lezioni  di  geometria  euclidea,  di  astronomia  e  di  meccanica  elementare.  Dava
               anche lezioni private sull’uso di un nuovo strumento di calcolo che aveva inventato e sull’architettura
               militare, che interessava ai giovani nobili che si preparavano a una carriera militare.
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                    Il termine latino che Galileo usa e che è tradotto con occhiale è perspicillum, in cui il prefisso per
               produce un intensivo di specillum, nome latino per lenti. In italiano Galileo utilizzava occhiale, parola
               che indicava le lenti o gli occhiali da lettura che erano fabbricati sull’isola di Murano, tuttora famosa
               per la lavorazione del vetro. Galileo conosceva questi negozi da anni, come provato dalla lettera che
               ricevette nel 1602 da Paolo Pozzobonelli, un amico di Savona, che lo ringraziava per la scatola di lenti
               di Murano che i propri genitori avevano trovato veramente soddisfacenti (lettera del 12 settembre 1602,
               Opere di Galileo X, p. 93). Occhiale è la parola che Galileo usa nella lettera accompagnatoria al suo
               strumento per il doge di Venezia (lettera al doge Leonardo Donà del 24 agosto 1609, Opere di Galileo
               X, p. 250). Si trova lo stesso termine nella lettera del 19 marzo 1610, che accompagnava il telescopio
               con cui scoprì i satelliti di Giove che regalava al granduca Cosimo II (Opere di Galileo X, p. 297). Gli
               amici  e  i  corrispondenti  di  Galileo  utilizzano  occhiale  o  occhiali  in  canna,  come  scriveva  Lorenzo
               Pignoria a Paolo Gualdo il 1° di agosto 1609 (Opere di Galileo X, p. 250). Nel 1609, Giovanni Bartoli,
               segretario dell’Ambasciata toscana a Venezia, scrivendo a Belisario Vinta, segretario di Stato a Firenze,
               usa occhiale o cannone (Opere di Galileo X, p. 250), cannone a veder lontano (Opere di Galileo X, p.
               255 e p. 261), cannone della lunga vista o la variante cannone della veduta lunga (Opere di Galileo X,
               p. 259 e p. 260) e cannocchiale, una combinazione di cannone e occhiale che si può rendere altrimenti
               con tubo ottico (Opere di Galileo X, p. 260). Un amico di Galileo, Paolo Pozzobonnelli, scrivendogli
               da Pisa il 26 novembre 1613 lo chiama ancora canna occhiale (Opere di Galileo XI, p. 597). Non c’era
               una parola in latino o in altre lingue per il nuovo strumento. Il nome telescopio, formato dall’avverbio
               τήλε  (tēle  =  lontano)  con  il  sostantivo  σϰo  ή  (scopē  =  l’osservare),  fu  coniato  un  anno  dopo  la
               pubblicazione del Sidereus Nuncius,  quando  Galileo  si  recò  a  Roma  per  mostrare  il  suo  strumento.
               Sembra sia stato suggerito dal matematico greco Giovanni Demisiani a Roma, la sera del 14 aprile
               1611, durante un incontro organizzato dal principe Federico Cesi in onore di Galileo.
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