Page 460 - Galileo. Scienziato e umanista.
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al  Ducato  di  Mantova,  una  disastrosa  conseguenza
                dell’incontenibile  rapacità  del  papa.  Per  l’estate  del  1630  la

                peste era a Firenze. Uno dei contadini al servizio di Galileo ne
                morí. «[L]’esorterò a procurar l’ottimo rimedio […] col mezzo

                d’una  vera  contrizione  e  penitenza».  Neanche  con  questa
                medicina  Galileo  avrebbe  potuto  viaggiare  facilmente  fino  a

                Roma,  che  aveva  attuato  tutta  una  serie  di  complicate

                precauzioni  per  tenere  lontana  la  peste.  Queste  impedivano
                l’ingresso alle persone provenienti da luoghi colpiti dalla peste,

                o ne ritardavano notevolmente l’ingresso, obbligandole, se non
                venivano  confiscati,  a  fumigare  tutti  gli  oggetti  che  potevano

                diffondere il contagio, compresi i manoscritti                  185 . Galileo chiese
                di stampare a Firenze.

                    Dopo  essersi  consultato  con  Visconti,  che  di  lí  a  poco
                sarebbe  stato  bandito  da  Roma  per  quello  che  era  accaduto  a

                Morandi,  Castelli  riferí  che  la  pubblicazione  a  Firenze  non
                sarebbe  stata  un  problema,  e  invitò  Galileo  a  ottenere

                velocemente il permesso dai censori fiorentini, poiché il favore
                di  Urbano  era  volubile.  Con  incredibile  rapidità  –  il  12

                settembre, circa due settimane dopo aver ricevuto la lettera di
                Castelli  –  Galileo  ottenne  l’imprimatur  desiderato                 186 .  La  cosa

                era del tutto irregolare, poiché nessun censore aveva approvato

                il  testo.  Riccardi  si  aspettava  che  Galileo  sarebbe  tornato  a
                Roma per appianare tutte le rimanenti increspature; ma a causa

                della  peste  acconsentí  che  la  maggior  parte  del  lavoro  di
                revisione  venisse  svolto  a  Firenze,  riservando  per  sé  soltanto

                l’inizio  e  la  fine.  Una  lettera  a  Galileo  da  parte  della  moglie
                dell’ambasciatore  del  granduca  di  Toscana  a  Roma,  Caterina

                Riccardi  Niccolini,  esponeva  l’accordo.  Caterina  Niccolini
                aveva aiutato a fare pressione su suo cugino il Mostro perché

                dividesse  le  responsabilità  per  il  corpo  del  testo  (che  venne
                assegnato al teologo domenicano Giacinto Stefani, a Firenze) e

                l’inizio e la fine; e quando il Mostro, tormentato da venti politici
                in  costante  cambiamento,  che  rendevano  rischiosa  la
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