Page 457 - Galileo. Scienziato e umanista.
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Nel luglio del 1631 Riccardi inviò ad Egidi un quarto
requisito: la somministrazione di una «medicina della fine» per
bilanciare la bozza di prefazione che egli stesso presentava. Tale
medicina, che chiameremo «il Semplice di Urbano», deve
essere composta dalle «raggioni della Divina Onnipotenza
dettegli [a Galileo] da Nostro Signore, le quali devono quietar
l’intelletto, ancorché da gl’argomenti pittagorici non se ne
potesse uscire». Riccardi diede poi istruzioni ulteriori a Egidi
che il poscritto («fine») contenente la medicina «osservi la
sostanza del contenuto» della prefazione, cioè ritorni
sull’argomento della Lettera a Francesco Ingoli 177 . Perché mai
il maestro del Sacro Palazzo dovrebbe dare istruzioni
all’inquisitore fiorentino circa un libro da pubblicare a Roma?
C’è tutta una storia, dietro.
Dopo aver letto frettolosamente il testo che Galileo aveva
portato con sé a Roma nel 1630, né Riccardi né Visconti
sollevarono gravi obiezioni, ma solo piccoli punti che Galileo
avrebbe potuto correggere prima di ritornare a Roma per
l’approvazione finale e la stampa del testo. Dopo un ultimo,
piacevole incontro con il papa e il cardinale nipote, Galileo partí
per Firenze «con intera sodisfatione e con la speditione intera»:
cosí l’ambasciatore Niccolini, che continuò – senza dubbio con
grande soddisfazione del granduca – dicendo: «da tutta la Corte
[papale] è stato stimato et honorato come l’era dovuto» 178 . Ne
faceva virtualmente parte, per due motivi: da una parte, Urbano
gli aveva assegnato una pensione, o meglio gli aveva
riassegnato la pensione che aveva promesso a Vincenzo, che
aveva rifiutato la condizione di dover portare la chierica per
ottenerla. Ciò non scoraggiò Galileo, che nell’estate del 1630
divenne un chierico, almeno nella misura in cui portava la
tonsura e recitava preghiere quotidianamente. Ma non ricavò
molto da questo investimento: portò la tonsura per molti anni
prima che la pensione, derivante da un canonicato della