Page 398 - Galileo. Scienziato e umanista.
P. 398

Faber  fece  alcune  osservazioni  con  esso  prima  che  Galileo  lo
                desse  al  Cardinal  von  Zollern  perché  lo  consegnasse  a

                Massimiliano  di  Baviera.  «Io  ho  visto  una  mosca  che  il  Sig.                   r
                Galileo stesso mi ha fatto vedere, – scrisse Faber a Cesi, – sono

                                                                 r
                restato attonito, et ho detto al Sig.  Galileo che esso è un altro
                Creatore, atteso che fa apparire cose che finhora non si sapeva

                che fossero state create». Nell’autunno del 1624 Galileo inviò a

                Cesi       uno      strumento         ulteriormente          perfezionato,          con
                l’indicazione  delle  sue  caratteristiche:  «ho  contemplati

                moltissimi  animalucci  con  infinita  ammirazione:  tra  i  quali  la
                pulce è orribilissima, la zanzara e la tignuola son bellissimi; e

                con  gran  contento  ho  veduto  come  faccino  le  mosche  et  altri
                animalucci a camminare attaccati a’ specchi, et anco di sotto in

                     27
                su» .
                    Le linci volsero presto il loro sguardo acuto agli animali che

                destavano  il  maggiore  interesse  nella  Roma  di  Barberini:
                combinando  il  loro  interesse  per  le  scienze  naturali,  un

                riferimento  a  quello  che  era  il  loro  membro  piú  famoso  e
                l’obbedienza  nei  confronti  del  loro  patrono,  in  occasione  del

                Giubileo del 1625 pubblicarono un opuscolo con una magnifica
                incisione,  la  Melissographia,  con  le  immagini  ingrandite  di

                un’ape  osservata  da  Stelluti.  La  dedica  ricorda  «la  divina

                scoperta della nuova arte», il genio dei lincei e, ovviamente, le
                api  dello  stemma  dei  Barberini.  Le  linci  non  potevano

                permettere che rimanesse un fatto isolato, e poco dopo l’uscita
                dell’opuscolo pubblicarono una poesia in latino intitolata Apes

                Dianae (Le api di Diana), illustrato con le incisioni di antiche
                monete  raffiguranti  delle  api.  Il  legame  tra  l’insetto  e  la

                cacciatrice era la castità: le api erano considerate prive di sesso
                e Diana la dea della continenza, oltre che della caccia. Entrambi

                i simboli proiettavano il «modello casto e verginale» coltivato
                da Urbano. La poesia offre un mirabile esempio di padronanza

                della forma letteraria prediletta dall’ambiente culturale in cui si
                svolse la carriera di Galileo. Una terza, poderosa variazione sul
   393   394   395   396   397   398   399   400   401   402   403