Page 379 - Galileo. Scienziato e umanista.
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si accontentava di «andar a guisa della gallina cieca dando or
                qua or là tanto del becco in terra» per trovare passaggi da pesare

                con la sua rozza bilancia, Galileo si sarebbe invece comportato
                «come deve fare chi si piglia per impresa di volere essaminar gli

                altrui  componimenti,  ché  non  lasciar  cosa  veruna  senza
                considerarla»      174 . «Qui, com’ella vede», dice Galileo all’inizio di

                ogni  brano,  come  se  stesse  mostrando  una  sciocchezza                          175 .

                Perché preoccuparsi di certe cose? Citando un verso di Ariosto,
                Galileo lasciava intendere di abbassarsi a discutere di verità che

                lui  già  possedeva.  Noblesse  oblige.  Il  verso  si  riferiva  a  un
                combattimento  tra  Orlando  e  Mandricardo  per  la  spada  di

                Orlando:  «Quantunque  sia  debitamente  mia,  |  tra  noi  per
                gentilezza si contenda»          176 .

                    La  captatio  benevolentiae  –  l’apertura  di  Galileo  mirava  a
                conquistare  la  benevolenza  del  lettore  –  non  ha  niente  a  che

                vedere con la cavalleria o con l’argomento del contendere. È la
                consueta lamentela, sempre piú tinta di paranoia: o le persone si

                erano impadronite delle sue scoperte oppure, se troppo deboli
                per  plagiarle,  le  avevano  disprezzate  e  respinte                   177 .  Questo

                ritornello stride goffamente con i tre inni di lode a Galileo scritti
                da  due  linci  e,  fra  tutte  le  possibili  persone,  da  chi  si  era

                occupato  della  censura  del  libro,  il  domenicano  Niccolò

                Riccardi, che faceva cosí il proprio ingresso in una storia in cui
                avrebbe avuto un ruolo di primo piano. Si era fatto un nome in

                Spagna,  dove  si  era  ritagliato  un’immagine  cosí  grandiosa,
                come predicatore, che il re in persona, Filippo III, era andato a

                sentirlo, e lo aveva chiamato «Padre Mostro» – alcuni dicono
                per  le  dimensioni  della  sua  pancia  e  della  sua  memoria,  altri

                perché  aveva  una  testa  sufficientemente  dura  da  spaccare  le
                noci. Nel pesare Il Saggiatore, il mostro si considerava «felice

                d’esser nato, quando non piú con la stadera ed alla grossa, ma
                con saggi dí delicati, si bilancia l’oro della verità». Puoi aver

                avuto  predecessori  ed  emulatori,  oh  Galileo  (cosí  scriveva
                Johann Faber, autore di inni, lince anche lui, e farmacista del
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