Page 358 - Galileo. Scienziato e umanista.
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Le  linci  poetiche  divennero  sempre  piú  importanti  per
                Galileo al progressivo allontanarsi da lui, dopo il 1616, di quelle

                piú scientifiche. Johann Schreck, astronomo e botanico, rivolto
                a  Johann  Faber,  capo  della  botanica  lincea:  «Mi  stupisco  che

                Galileo stia spingendo cosí tanto per il moto della Terra, come
                se  non  fosse  sufficiente  dire  che  si  tratta  di  un’ipotesi  utile

                all’astronomia, qualunque sia il suo valore di verità. Con mio

                grande fastidio l’editto mi impedirà di utilizzarla per calcolare
                le  eclissi  per  i  cinesi»       125 .  Una  lince  lui  stesso  in  passato,

                Schreck dovette dimettersi quando si uní ai gesuiti e alla loro
                missione in Cina. Anche Valerio si dimise: come dipendente del

                Vaticano  compromesso  dalla  sua  intercessione  presso  il
                cardinale  patrono  per  conto  e  su  richiesta  di  Galileo,  Valerio

                pensò fosse meglio cancellare ogni traccia del proprio legame
                con  un  gruppo  che  si  identificava  con  il  suo  vecchio  amico.

                Come Keplero, anche Valerio attribuí a Galileo la responsabilità
                di aver provocato la condanna del 1616                 126 .

                    Ci fu cosí piú spazio per i poeti.




                    3. Cattivi presagi.


                    L’editto del 1616 colpí i gesuiti tanto quanto colpí Galileo.

                L’entusiasmo dei loro matematici nei confronti dell’astronomia
                telescopica  si  scontrò  con  la  tendenza  del  loro  preposito

                generale, Claudio Acquaviva, di vedere lo scontro sulle novità

                celesti come un secondo fronte nella lotta contro gli eretici. È
                proprio  vero:  i  generali  combattono  sempre  l’ultima  battaglia.
                Nel  1611  Acquaviva  aveva  preteso  che  le  proprie  truppe,

                particolarmente quelle nella zona di combattimento dell’aula, si

                attenessero  alla  filosofia  di  Aristotele  cosí  come  era  stata
                corretta  da  san  Tommaso.  Deluso  dalla  scarsa  osservanza  di

                questo  suo  ordine  da  parte  del  corpo  dei  gesuiti,  che  stava
                crescendo  velocemente  e  velocemente  andava  diversificandosi

                (durante il suo regno passò da 5000 a 13 000 unità), lo rinnovò
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