Page 269 - Galileo. Scienziato e umanista.
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una lezione di umiltà impartita da Dio stesso, «che con questo
                mezo  ci  fa  conoscere  quanto  poche  siano  le  cose  da  noi

                conosciute         a     proporzione           delle      ignorate»    131 .    Anche
                l’Inquisizione  accettò  la  lezione,  nella  sostanza  se  non  nello

                spirito:  il  suo  vigile  teologo,  Bellarmino,  che  era  del  tutto
                preparato a scoprire nei cieli cose di cui Aristotele non aveva

                nemmeno sospettato l’esistenza, chiese al gruppo di Clavio una

                valutazione  ufficiale  del  telescopio  e  delle  osservazioni  che
                Galileo sosteneva di fare con esso. Su tutti i punti i Clavisi –

                Clavio  stesso,  Grienberger,  Maelcote  e  Lembo  –  diedero  la
                propria approvazione alle scoperte, con l’importante eccezione

                che  Clavio,  per  il  quale  le  cose  si  stavano  muovendo  troppo
                rapidamente,  pensò  che  le  irregolarità  osservate  sulla  Luna

                potessero derivare da differenze in densità, anziché in altezza,
                della  materia  lunare         132 .  All’udire  queste  parole  Cigoli  lo

                scherní, dicendo che il decano dei matematici della Compagnia
                di Gesú non capiva nulla di prospettiva. Eppure l’approvazione

                da parte del Collegio Romano fu una grande vittoria, sul piano
                personale cosí come su quello scientifico. Piero Dini, un uomo

                di lettere fiorentino che si era trasferito a Roma per mettersi al
                servizio dello zio cardinale, e che sarebbe diventato un agente

                confidenziale  di  Galileo,  vide  la  risposta  dei  matematici  a

                Bellarmino:  la  morale  della  favola,  a  suo  giudizio,  era  che
                Galileo e i gesuiti erano diventati «grandi amici»                  133 .

                    Rimaneva  però  il  fatto  che  Clavio  fosse  riluttante  ad
                accettare  l’esistenza  di  montagne  sulla  Luna.  Doveva  questa

                resistenza  alla  propria  coscienza  e  ai  propri  colleghi  del
                Collegio  Romano,  che  lo  avevano  seguito  fin  da  quando,

                quarant’anni prima, aveva pubblicato la propria idea per cui la
                teoria  copernicana  si  opponeva  a  una  filosofia  corretta,

                all’astronomia comunemente accettata e alle Sacre Scritture. Il
                passaggio  da  un  paesaggio  lunare  simile  a  quello  terrestre

                all’affermazione che la Luna fosse fatta di una materia simile a
                quella  di  cui  era  fatta  la  Terra,  e  quindi  alla  distruzione  della
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