Page 268 - Galileo. Scienziato e umanista.
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Romano. Trovò i cardinali che ridevano di un attacco portato
contro di lui intorno al Natale del 1610, da parte di un incauto
giovane di nome Francesco Sizzi, che Keplero aveva messo al
medesimo livello mentale di Horky. Il titolo del regalo di Natale
di Sizzi al mondo degli intellettuali, Dianoia astronomica,
optica et physica, lasciava capire che avrebbe sconfitto
un’opinione con i fatti. L’opinione era l’assunto di Galileo, di
poter osservare distintamente fino a Giove; contro di essa Sizzi
portò, in buon ordine, i seguenti «fatti»: la rifrazione distorce
tanto piú quanto piú è lontano l’oggetto che si osserva; il
telescopio è inattendibile per distanze superiori a un sesto del
raggio terrestre; e Giove è lontano 17615 raggi terrestri.
L’affermazione di Galileo comportava che si potessero trarre
conclusioni attendibili su una scala molto piú grande, delle
medesime dimensioni e assurdità della sua conclusione circa la
stabilità dell’inferno a partire da un modello 200 000 volte piú
piccolo: che impudenza! «Or tu chi se’, che vuo’ sedere a
scranna | per giudicar di lungi mille miglia | con la veduta corta
d’una spanna?» 129 . Galileo non si appassionò al divertimento
dei suoi ospiti di fronte alla retorica pseudoquantitativa di Sizzi,
e alle sue obiezioni basate sulle Sacre Scritture, che facevano
ridere anche loro: Sizzi era infatti un fiorentino, che meritava di
essere preso seriamente in considerazione da un rappresentante
ufficiale del granduca. Godeva poi della protezione di don
Giovanni de’ Medici, cui Sizzi aveva dedicato la propria
Dianoia 130 .
Gli astronomi del Collegio Romano potevano ridere di Sizzi
perché erano riusciti a osservare tutto quanto Galileo aveva
detto di aver visto nei cieli. Con la loro conferma, il rifiuto dei
pianetoidi di Giove, delle fasi di Venere e di tutto il resto, in
quanto artefatti del telescopio, perse ogni plausibilità. Persino in
Belgio, come scrisse un ex studente di Galileo che si era
trasferito lí, la verità avrebbe prevalso. Ad Augusta, Welser
accettò il giudizio del Collegio Romano e lo interpretò come