Page 170 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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anco  sicuri  d’aver  in  mano  l’assoluta  verità  di  quella
                conclusione naturale che intendono di disputare, e che insieme

                conoschino d’aver grandissimo vantaggio sopra l’avversario, a
                cui  tocca  a  difender  la  parte  falsa;  essendo  che  quello  che

                sostiene  il  vero,  può  aver  molte  esperienze  sensate  e  molte
                dimostrazioni  necessarie  per  la  parte  sua,  mentre  che
                l’avversario  non  può  valersi  d’altro  che  d’ingannevoli

                apparenze,  di  paralogismi  e  di  fallacie.  Ora  se  loro,
                contenendosi dentro a i termini naturali e non producendo altre

                armi  che  le  filosofiche,  sanno  ad  ogni  modo  d’esser  tanto
                superiori all’avversario, perché, nel venir poi al congresso, por
                subito mano ad un’arme inevitabile e tremenda, per atterrire con

                la sola vista il loro avversario? Ma, se io devo dir il vero, credo
                che essi sieno i primi atterriti, e che, sentendosi inabili a potere

                star  forti  contro  alli  assalti  dell’avversario,  tentino  di  trovar
                modo  di  non  se  lo  lasciar  accostare,  vietandogli  l’uso  del

                discorso  che  la  Divina  Bontà  gli  ha  conceduto,  ed  abusando
                l’autorità  giustissima  della  Sacra  Scrittura,  che,  ben  intesa  ed

                usata, non può mai, conforme alla comun sentenza de’ teologi,
                oppugnar le manifeste esperienze o le necessarie dimostrazioni.
                Ma  che  questi  tali  rifugghino  alle  Scritture  per  coprir  la  loro

                impossibilità di capire, non che di solvere, le ragioni contrarie,
                dovrebbe, s’io non m’inganno, essergli di nessun profitto, non

                essendo  mai  sin  qui  stata  cotal  opinione  dannata  da  Santa
                Chiesa.  Però,  quando  volessero  procedere  con  sincerità,

                doverebbono  o,  tacendo,  confessarsi  inabili  a  poter  trattar  di
                simili materie, o vero prima considerare che non è nella potestà

                loro né di altri che del Sommo Pontefice o de’ sacri Concilii il
                dichiarare  una  proposizione  per  erronea,  ma  che  bene  sta
                nell’arbitrio loro il disputar della sua falsità; dipoi, intendendo

                come è impossibile che alcuna proposizione sia insieme vera ed
                eretica, dovrebbono occuparsi in quella parte che più aspetta a

                loro,  ciò  è  in  dimostrar  la  falsità  di  quella;  la  quale  come
                avessero  scoperta,  o  non  occorrerebbe  più  il  proibirla,  perché

                nessuno  la  seguirebbe,  o  il  proibirla  sarebbe  sicuro  e  senza



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