Page 162 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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così  sia  stato  con  somma  prudenza  esseguito  nelle  divine
                Scritture.  Ma  più  dirò,  che  non  solamente  il  rispetto

                dell’incapacità del vulgo, ma la corrente opinione di quei tempi,
                fece  che  gli  scrittori  sacri  nelle  cose  non  necessarie  alla

                beatitudine più si accomodorno all’uso ricevuto che alla essenza
                                                                               13
                del fatto. Di che parlando S. Girolamo scrive:  quasi non multa
                in  Scripturis  Sanctis  dicantur  iuxta  opinionem  illius  temporis

                quo gesta referuntur, et non iuxta quod rei veritas continebat.
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                Ed  altrove  il  medesimo  Santo:   Consuetudinis,  Scripturarum
                est,  ut  opinionem  multarum  rerum  sic  narret  Historicus,

                quomodo eo tempore ab omnibus credebatur. E san Tommaso
                in Iob, al cap. 27, sopra le parole Qui extendit aquilonem super

                vacuum, et appendit Terram super nihilum, nota che la Scrittura
                chiama  vacuo  e  niente  lo  spazio  che  abbraccia  e  circonda  la

                Terra,  e  che  noi  sappiamo  non  esser  vòto,  ma  ripieno  d’aria:
                nulla  dimeno,  dice  egli  che  la  Scrittura,  per  accomodarsi  alla
                credenza del vulgo, che pensa che in tale spazio non sia nulla, lo

                chiama vacuo e niente. Ecco le parole di S. Tommaso: quod de
                superiori  hemisphærio  cæli  nihil  nobis  apparet,  nisi  spatium

                aëre plenum, quod vulgares homines reputant vacuum: loquitur
                enim secundum existimationem vulgarium hominum, pro ut est

                mos in Sacra Scriptura. Ora da questo luogo mi pare che assai
                chiaramente argumentar si possa, che la Scrittura Sacra, per il

                medesimo  rispetto,  abbia  avuto  molto  più  gran  cagione  di
                chiamare  il  Sole  mobile  e  la  Terra  stabile.  Perché,  se  noi
                tenteremo la capacità degli uomini vulgari, gli troveremo molto

                più  inetti  a  restar  persuasi  della  stabilità  del  Sole  e  mobilità
                della  Terra,  che  dell’esser  lo  spazio,  che  ci  circonda,  ripieno

                d’aria:  adunque,  se  gli  autori  sacri  in  questo  punto,  che  non
                aveva  tanta  difficoltà  appresso  la  capacità  del  vulgo  ad  esser
                persuaso,  nulla  dimeno  si  sono  astenuti  dal  tentare  di

                persuaderglielo, non dovrà parere se non molto ragionevole che
                in  altre  proposizioni  molto  più  recondite  abbino  osservato  il

                medesimo stile.




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