Page 155 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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procurino per lor medesimi di cautelarsi contro alle proprie
osservazioni e dimostrazioni, come quelle che non possino esser
altro che fallacie e sofismi, è un comandargli cosa più che
impossibile a farsi; perché non solamente se gli comanda che
non vegghino quel che e’ veggono e che non intendino quel che
gl’intendono, ma che, cercando, trovino il contrario di quel che
gli vien per le mani. Però, prima che far questo, bisognerebbe
che fusse lor mostrato il modo di far che le potenze dell’anima
si comandassero l’una all’altra, e le inferiori alle superiori, sì
che l’immaginativa e la volontà potessero e volessero credere il
contrario di quel che l’intelletto intende (parlo sempre delle
proposizioni pure naturali e che non sono de Fide, e non delle
sopranaturali e de Fide). Io vorrei pregar questi prudentissimi
Padri, che volessero con ogni diligenza considerare la differenza
che è tra le dottrine opinabili e le dimostrative; acciò,
rappresentandosi bene avanti la mente con qual forza stringhino
le necessarie illazioni, si accertassero maggiormente come non è
in potestà de’ professori delle scienze demostrative il mutar
l’opinioni a voglia loro, applicandosi ora a questa ed ora a
quella, e che gran differenza è tra il comandare a un matematico
o a un filosofo e ’l disporre un mercante o un legista, e che non
con l’istessa facilità si possono mutare le conclusioni dimostrate
circa le cose della natura e del cielo, che le opinioni circa a
quello che sia lecito o no in un contratto, in un censo, o in un
cambio. Tal differenza è stata benissimo conosciuta da i Padri
dottissimi e santi, come l’aver loro posto grande studio in
confutar molti argumenti o, per meglio dire, molte fallacie
filosofiche ci manifesta, e come espressamente si legge
appresso alcuni di loro; ed in particolare aviamo in S. Agostino
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le seguenti parole: Hoc indubitanter tenendum est, ut quicquid
sapientes huius mundi de natura rerum veraciter demonstrare
potuerint, ostendamus nostris Literis non esse contrarium;
quicquid autem illi in suis voluminibus contrarium Sacris
Literis docent, sine ulla dubitatione credamus id falsissimum
esse, et, quoquomodo possumus, etiam ostendamus; atque ita
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