Page 148 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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movent, utrum stet an moveatur: quia si movetur, inquiunt,
quomodo firmamentum est? si autem stat, quomodo sydera, quæ
in ipso fixa creduntur, ab oriente usque ad occidentem
circumeunt, septentrionalibus breviores gyros iuxta cardinem
peragentibus, ut cælum, si est alius nobis occultus cardo ex alio
vertice, sicut sphera, si autem nullus alius cardo est, veluti
discus, rotari videatur? Quibus respondeo, multum subtilibus et
laboriosis ista perquiri, ut vere percipiatur utrum ita an non ita
sit; quibus ineundis atque tractandis nec mihi iam tempus est,
nec illis esse debet quos ad salutem suam et Sanctæ Ecclesiæ
necessariam utilitatem cupimus informari.
Dalle quali cose descendendo più al nostro particolare, ne
séguita per necessaria conseguenza, che non avendo voluto lo
Spirito Santo insegnarci se il cielo si muova o stia fermo, né la
sua figura sia in forma di sfera o di disco o distesa in piano, né
se la Terra sia contenuta nel centro di esso o da una banda, non
avrà manco avuta intenzione di renderci certi di altre
conclusioni dell’istesso genere, e collegate in maniera con le pur
ora nominate, che senza la determinazion di esse non se ne può
asserire questa o quella parte; quali sono il determinar del moto
e della quiete di essa Terra e del Sole. E se l’istesso Spirito
Santo a bello studio ha pretermesso d’insegnarci simili
proposizioni, come nulla attenenti alla sua intenzione, ciò è alla
nostra salute, come si potrà adesso affermare, che il tener di
esse questa parte, e non quella, sia tanto necessario che l’una sia
de Fide, e l’altra erronea? Potrà, dunque, essere un’opinione
eretica, e nulla concernente alla salute dell’anime? o potrà dirsi,
aver lo Spirito Santo voluto non insegnarci cosa concernente
alla salute? Io qui direi che quello che intesi da persona
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ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è
l’intenzione delle Spirito Santo essere d’insegnarci come si
vadia al cielo, e non come vadia il cielo.
Ma torniamo a considerare, quanto nelle conclusioni naturali
si devono stimar le dimostrazioni necessarie e le sensate
esperienze, e di quanta autorità le abbino reputate i dotti e i santi
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