Page 90 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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penetrare et osservare gli studi a’ quali è applicato e le conversazioni colle quali
si trattiene, per aver luce di quanto se, venendo a Fiorenza, possa con radunanze
e discorsi seminare la sua dannata openione del moto della terra. Io l’ho ritrovato
totalmente privo di vista e cieco affatto; e sebbene egli spera di sanarsi, non
essendo più di sei mesi che gli caderono le cateratte negli occhi, il medico però,
stante l’età sua di 75 anni, ne’ quali entra adesso, ha il male per quasi incurabile:
oltre di questo ha una rottura gravissima, doglie continue per la vita, et una
vigilia poi, per quello che egli afferma e che rifferiscono i suoi di casa, che di 24
hore non ne dorme mai una intiera; e nel resto è tanto mal ridotto, che ha più
forma di cadavero che di persona vivente. La villa è lontana dalla città et in
luogo anche scomodo, e perciò non può che di raro, con difficoltà e molta spesa,
havere le comodità del medico. Gli studi suoi sono intermessi per la cecità,
sebbene alle volte si fa leggere qualche cosa, e la conversazione sua non è
frequentata, perché, essendo così mal ridotto di salute, non può per ordinario far
altro che dolersi del male e discorrere delle sue infermità con chi talvolta va a
visitarlo: onde, per questo rispetto ancora, credo che quanto la Santità di N.S.
usasse della infinita sua pietà verso di lui, che concendedole che stasse in
Fiorenza, che non avrebbe occasione di far radunanze; e quando l’avesse, è
mortificato in tal guisa, che per assicurarsene credo che potrà bastare una buona
ammonizione per tenerlo in freno. Che è quanto posso rappresentare a V.E.». 218
Galileo aveva sollecitato il trasferimento a Firenze per ragioni di salute
dal 1634. Sua santità Urbano VIII gli rifiutò sempre il permesso.
Quando Galileo morì, l’8 gennaio 1642, la sua salma venne traslata in
Santa Croce, dove si trovava la tomba di famiglia, e i Medici
manifestarono l’intenzione di rendergli omaggio. Quando a Roma
seppero del progetto, il cardinale Francesco Barberini scrisse
all’inquisitore di Firenze:
«S. Beatitudine, col parere di questi miei Eminentissimi, ha risoluto che ella, con
la sua solita destrezza, procuri di far passare all’orecchie del Gran Duca che non
è bene fabricare mausolei al cadavero di colui che è stato penitentiato nel
Tribunale della Santa Inquisitione, et è morto mentre durava la penitenza, perché
si potrebbono scandalizzare i buoni, con pregiuditio della pietà di S. Altezza. Ma
quando pure non si potesse distornare cotesto pensiero, dovrà ella avvertire che
nell’epitafio o inscrittione, che si porrà nel sepolcro, non si leggano parole tali,
che possano offendere la riputazione di questo Tribunale. La medesima
avvertenza dovrà pur ella havere con chi reciterà l’oratione funerale, procurando
di vederla e considerarla ben, prima che si reciti o si stampi. Nel savio
avvedimento di V.R. ripone la Sua Santità il rimedio di cotesto affare». 219
I politici dimostrarono però di avere vista assai corta e in ultima analisi
fu Micanzio ad aver ragione con la sua reiterata affermazione:
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