Page 88 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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Curiosamente, Urbano VIII condivideva con Bellarmino l’incredulità
circa la possibilità di una dimostrazione della teoria copernicana. In
realtà, essi non presero mai molto sul serio la questione, come del resto
non lo fece la commissione che nel 1616 vietò la teoria copernicana, e lo
dimostra la facilità e rapidità con cui decise la condanna. In ogni caso,
però, Urbano VIII stava commettendo un errore. L’eliocentrismo era
stato espressamente censurato come proposizione «assurda e falsa in
filosofia, e formalmente eretica» e l’affermazione del movimento
terrestre era stata considerata meritevole della stessa censura filosofica e
sentenziata «ad minus erronea in fide». 213 Come bisognava interpretare
tale «errore» da parte di chi voleva rivendicare il copernicanesimo?
Sappiamo anche quanto cortese fu Urbano VIII nei numerosi colloqui
che concesse a Galileo in quello stesso lasso di tempo. Certo è che questi
non conosceva a fondo le sottigliezze della corte, ma altrettanto certo è
che la «correttezza» delle interpretazioni di tali affermazioni la si
conosce o la si può desumere solo a posteriori. Fatto sta che Galileo si
sentì autorizzato a metter mano al Dialogo, e finì condannato: realtà di
fatto che sono state raccontate molte volte e sulle quali qui non mi
soffermerò. È evidente che Galileo non possedeva le chiavi necessarie
per poter agire opportunamente. Non riuscì mai a pensare se non in
termini di razionalità scientifica. Senza dubbio era disposto a fare ricorso
a tutte le arguzie dialettiche o diplomatiche necessarie in difesa delle sue
idee scientifiche, ma non smise mai di pensare che a importare davvero
fossero i meriti teorici della visione copernicana e delle teorie rivali. È
ovvio però che coloro che prendevano le decisioni si ponevano a un altro
livello, ed è rivelatore il fatto che, tra gli amici o alleati di Galileo,
furono sempre i diplomatici o i più vicini alla politica quelli che
formularono le migliori diagnosi della situazione. Già nel 1611 Sagredo,
alla notizia che Galileo lasciava Padova, cioè la Repubblica di Venezia,
per trasferirsi nella Firenze dei Medici, si allarmò e gli scrisse una lettera
colma di esperienza. Gli fece notare che lo stipendio non era poi così
male, e:
«La libertà e la monarchia di sé stessa dove potrà trovarla come in Venetia?
principalmente havendo li appoggi che haveva V.S. Ecc.ma, i quali ogni giorno,
con l’accressimento della età et auttorità de’ suoi amici, si faceva più
considerabile. V.S. al presente è nella sua nobilissima patria; ma anco è vero che
è partita dal luogo dove haveva il suo bene […]. Prendono per un pezzo li
Prencipi gusto di alcune curiosità; ma chiamati spesso dall’interesse di cose
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