Page 89 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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maggiori, volgono l’animo ad altro […]. Ma quell’essere in luogo dove
l’auttorità degli amici del Berlinzone [il gesuita M. Rocco Berlinzone, che è
come dire «i gesuiti»] come si ragiona, val molto, molto ancora mi travaglia». 214
Parole senz’altro profetiche. E quando, nel 1624, Galileo si reca a
rendere onore al nuovo papa e cena con alcuni cardinali e altre persone
affrontando la questione del copernicanesimo, racconta che costoro sono
assai amabili con lui e gli promettono di parlare con il papa, però
conclude confessando:
«Ma in conclusione la moltiplicità de i negozi, reputati infinitamente più
importanti di questi, assorbono et annichilano l’applicazione a simili
materie». 215
Il principe Cesi e gli ambasciatori dei Medici a Roma danno prova più
volte della stessa acutezza nei loro apprezzamenti e rimproverano a
Galileo la sua cecità nei confronti di ciò che sta effettivamente
accadendo. 216 Solo nella Repubblica di Venezia qualcuno può lasciarsi
andare, come il buon padre Micanzio:
«Ma che sciagurata setta conviene sia quella alla quale ogni cosa buona e
fondata nella natura, per necessità ha da riuscir contraria et odiosa! Il mundo non
è ristretto in un solo angolo: V.S. lo vedrà stampato in più luoghi e lingue; et a
punto per ciò fare ci voleva l’ordinaria persecutione di tutte l’opere buone. Il
mio dispiacer è che mi veggo privo della più desiderata cosa in questo genere,
che sono gl’altri suoi dialoghi; quali se per questa causa non posso haver gratia
di vedere, darò a cento mille diavoli questi hipocriti senza natura e senza
Dio». 217
Ma forse non era prevedibile in che modo avrebbe avuto luogo
l’umiliazione che venne inflitta a Galileo e il livello di astio con cui fu
accusato, dopo la condanna, fino alla sua morte e persino dopo, da parte
di alcuni gesuiti e del papa. Valgano a riprova queste due lettere.
Dopo la condanna, a Galileo fu permesso di trascorrere la detenzione
inflittagli nella sua casa di Arcetri, sia pure sotto stretta vigilanza. Il 13
febbraio 1638 l’inquisitore di Firenze Giovanni Muzzarelli scriveva
quanto segue al cardinale Francesco Barberini, nipote del papa:
«Per sodisfare più interamente al comandamento della Santità di N.S., sono
andato in persona all’improvviso, con un medico forestiero mio confidente, a
riconoscere lo stato del Galileo nella sua villa di Arcetri, persuadendomi con
questo non tanto di poter referire la qualità delle sue indisposizioni, che di
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