Page 95 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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del  testo  biblico  e  nel  dare  per  scontata  la  necessità  della  lettura
          allegorica,  senza  tuttavia  compromettersi  con  alcuna  interpretazione

          concreta ed esplicita. No. È opportuno ormai invertire il processo. Cioè
          la  scienza  ha  l’inconveniente  di  cambiare  di  continuo,  di  incorrere

          continuamente in errori e di cercare di emendarli, quando non pretende,
          molto  di  rado  invero,  di  ricominciare  da  zero.  Cosa,  com’è  ovvio,

          difficilmente  compatibile  con  qualsiasi  pretesa  di  aver  scoperto  o  di
          possedere,  come  che  sia  e  una  volta  per  tutte,  la  verità.  La  tattica

          adeguata,  per  la  Chiesa,  è  quindi  quella  di  lasciare  in  una  prudente
          indeterminazione il contenuto essenziale della Scrittura e, sulla scorta di
          tale indeterminazione, sostenere che quel contenuto è compatibile con le

          varie dottrine scientifiche che vengono formulate nel corso della storia.
          In questo caso, è evidente che l’indeterminazione equivale alla rinuncia a

          qualsiasi  interpretazione  esplicita  del  libro.  In  nessun  caso  è  possibile
          pervenire a un accordo circa il senso concreto dei testi biblici, circa le
          questioni naturali, né ottenere che sia la Chiesa a determinare una volta

          per  tutte  il  significato.  Ciò  che  equivale  di  fatto  a  mettere  da  parte  le
          Scritture.

          Non ha senso continuare a commentare l’operazione di «riabilitazione».
          Oggi,  dopo  quattrocento  anni  di  consolidamento  e  di  progressiva

          specializzazione  della  scienza,  è  chiaro  che,  qualunque  cosa  la  Chiesa
          dica sulla scienza di Galileo – per esempio se avesse o no prove – non ha

          alcuna  rilevanza.  Se  nel  Seicento  la  sua  posizione  poteva  avere  un
          qualche senso storico, è ovvio che oggi non c’è nessuno che le riconosca
          una  qualche  competenza  sulle  questioni  scientifiche  o  metodologiche,

          cosa  che  difficilmente  può  sorprendere  o  scandalizzare  qualcuno.  La
          cosa  paradossale,  a  mio  giudizio,  è  che  il  papa  si  senta  ancora  dotato

          dell’autorità  di  dire  qualcosa  di  pertinente  sul  terreno  scientifico  e
          metodologico e val la pena di domandarsi se in questo modo non stia

          comportandosi  esattamente  come  i  giudici  di  Galileo  di  cui  oggi  si
          riconoscono gli errori.

          Non accade però che si comporti solo sporadicamente come loro. Pochi
          mesi  prima  che  Giovanni  Paolo  II  dichiarasse  che  il  «doloroso
          malinteso» del caso Galileo «appartiene ormai al passato», il Vaticano

          distribuiva  la  Istruzione  sulla  vocazione  ecclesiale  del  teologo,  un
          «vademecum a uso dei teologi», nel quale si dice esplicitamente che le

          uniche strade possibili per la teologia sono quelle battute dal Vaticano:
          un  testo  che  coincide  sotto  tutti  gli  aspetti  importanti  con  le  direttive



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