Page 80 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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terrestre che, paradossalmente, si rivela un insuccesso.
          La quarta e ultima giornata può infatti essere paragonata al galoppante

          finale  del  primo  atto  dell’Italiana  in  Algeri.  La  musica  è  vibrante,
          frenetica,  ma  la  trama  si  è  complicata  in  misura  tale  che  tutti  sono  in

          piena  confusione  e  intonano  all’unisono  in  un  primo  settetto  in
          crescendo: «Confusi e stupiti, incerti pendono / non so comprendere tal

          novità».  E  il  coro  alla  greca  esprime  molto  bene  la  nostra  situazione
          intonando: «Va sossopra il mio cervello, / Sbalordito in tanti imbrogli; /

          Qual vascel fra l’onde e i scogli / Io sto presso a naufragar». Potrebbe
          trattarsi senza dubbio della nave sulla quale ci ha imbarcati Galileo nella
          seconda  giornata,  quella  fatta  apposta  per  portarci  alla  nuova  fisica,

          lasciando cadere sassi, facendoci saltare e veder volare farfalle, mentre
          gli  uccelli  ci  accompagnano.  Adesso  però  tutto  pare  sconvolgersi  e  in

          Algeri, dove si sono riuniti, i protagonisti armonizzano le loro lamentele,
          raccontandosi i rumori che odono nelle loro teste confuse. I tre eunuchi,
          due mezzo soprani e un soprano, cantano: «Nella testa ho un campanello

          /  Che  suonando  fa  dindin».  Mustafà,  un  basso:  «Come  scoppio  di
          cannone / La mia testa fa bum bum». Il vecchio Taddeo, un baritono:

          «Sono come una cornacchia / Che spennata fa cra cra». Mentre Lindoro,
          un  tenore,  e  Haly,  un  basso  buffo,  intonano:  «Nella  testa  un  gran

          martello  /  mi  percuote  e  fa  tac  tà».  E  tutti  ripetono  il  corrispondente
          rumorino ogni volta più forte e accelerando. Solo il genio di un Rossini o

          di un Galileo può permettersi cose simili.
          Ma  come  si  spiega  che  Galileo  fallisca  così  palesemente  nella  parte
          cruciale  del  Dialogo,  quella  che  continuava  a  considerare  decisiva  da

          quasi vent’anni? Naturalmente, il presupposto della domanda non è che
          Galileo, il nostro eroe, non possa cadere in equivoco. Potrebbe, e lo fa. Il

          problema è piuttosto che, già a prima vista, la contraddizione della sua
          teoria  delle  maree  con  i  princìpi  basilari  della  nuova  fisica  che  ha

          introdotto  nella  seconda  giornata,  appare  di  tale  flagranza  da  risultare
          particolarmente  evidente  quando  giunge  al  punto  algido  e  cruciale  di

          tutta  la  sua  argomentazione  in  favore  del  copernicanesimo.  La
          conseguenza  è  che  alcuni  autori  hanno  cercato  una  spiegazione  che
          sfuggisse a una così cospicua contraddizione. Esaminiamo brevemente la

          questione.  Nel  1961,  Drake              188   richiamò  l’attenzione  su  tre  delle

          annotazioni vergate da Paolo Sarpi nei suoi quaderni nel 1595. In esse
          trova esplicita formulazione il nucleo della teoria delle maree di cui in





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