Page 74 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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mi sembra accettabile nell’affermazione di Clavelin testé citata, è la
presentazione delle due spiegazioni di Galileo come una successione, un
processo irreversibile e progressivo verso la spiegazione moderna.
Secondo questa visione, la spiegazione del movimento diurno di un
corpo, dovuto alla sua natura elementare terrea, sarebbe una semplice
dialettica puntuale, e in ogni caso sarebbe definitivamente superata dalla
concezione moderna. Nel Dialogo, però, non c’è un tale progresso, bensì
coesistenza e alternanza. Inoltre, come abbiamo visto, la spiegazione più
primitiva appare l’ultima in argomentazioni che si presentano come una
replica specificamente adeguata alle obiezioni tradizionali.
In altre parole, credo che le ambiguità di Galileo rivelino anzitutto che si
può sperimentare o produrre una rottura epistemologica, un
cambiamento paradigmatico, e tuttavia, in alcuni punti o questioni
teoriche, oscillare tra i due schemi concettuali e pensare alternativamente
ovvero a partire dalle categorie del paradigma o schema concettuale
precedente, senza apparente conflittualità, o perlomeno, senza avere
consapevolezza della contraddizione o ambiguità. En passant, le
ambiguità o contraddizioni di solito vengono notate con grande evidenza
solo a posteriori. Esaminiamo, in ogni caso, alcuni interrogativi che ci
propone la precedente analisi.
Abbiamo già visto che nel De motu e nelle Mecaniche, nell’identificare
il movimento naturale con quello che si avvicina al centro terrestre-
universale e quello violento con quello che se ne allontana, afferma
l’esistenza di un terzo movimento, misto o neutro, che ha luogo su un
piano equidistante dalla superficie terrestre; infatti, anche una Terra che
ruotasse nel centro nell’universo, esibirebbe tale movimento. Già a
questo punto si pone il problema se un tale movimento non sarebbe
«naturale» e, quindi, se una volta iniziato da un piccolo impulso, non si
conserverebbe eternamente, sempreché un ostacolo esterno non lo
impedisse. Abbiamo visto che nel 1607 questi dubbi erano scomparsi e
in ogni caso qui, nel Dialogo, appare chiaramente affermato il carattere
eterno del movimento circolare sul piano equidistante dalla superficie
terrestre. Galileo riprende proprio questo piano dal De motu e dalle
Mecaniche, adesso però non solo affermando che la stessa minima forza
potrebbe mettere in movimento un corpo che si trovasse su tale piano,
bensì aggiungendo ciò che non aveva osato affermare allora:
«Adunque una nave che vadia movendosi per la bonaccia del mare, è un di quei
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