Page 67 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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mantiene  inalterato  cotal  moto  ne  gli  uccelli,  è  l’aria  stessa  per  la  quale  e’
                   vanno vagando, la quale, seguitando naturalmente la vertigine della Terra, sì
                   come conduce seco le nugole, così porta gli uccelli ed ogn’altra cosa che in essa
                   si ritrovasse pendente; talché, quanto al seguir la Terra, gli uccelli non v’hanno a
                   pensare, e per questo servizio potrebbero dormir sempre»         155  (il corsivo è mio).


          Il testo è perlomeno sorprendente. Perché infatti Galileo ci dice adesso

          che è l’aria quello che mantiene inalterato tale movimento? Più ancora,
          Galileo dice che lo fa «seguitando naturalmente la vertigine della Terra».

          Sono affermazioni chiaramente in contraddizione con tutte le precedenti.
          Alla luce però di tutte le insperate deviazioni che in certi momenti ha la
          conversazione, non sembra si tratti di un semplice scivolone. In realtà

          Galileo fa dire a Sagredo, tra altre cose che ci sembrano più pertinenti e
          coerenti,  che  capisce  perfettamente  che  l’aria  porti  con  sé  le  nuvole

          perché sono leggerissime e pertanto facili da muovere e sono private di
          ogni altra inclinazione contraria, e che però quanto agli uccelli, che sono

          vivi e vanno avanti e indietro, gli riesce più difficile accettarlo. Tanto più
          che sono gravi e già si è visto i corpi gravi:


                   «Restar contumaci contro all’impeto dell’aria, e quando pure si lascino superare,

                   non acquistano mai tanta velocità quanto il vento che gli conduce».         156

          In primo luogo, però, cosa ha a che fare la leggerezza o la gravità nel

          caso  specifico?,  ci  chiediamo  noi.  La  «gravità»  degli  uccelli  starebbe
          semmai a indicare che hanno una natura più terrea dell’aria nella quale si

          muovono. Ciò che però dovrebbe togliere di mezzo l’obiezione, anziché
          rafforzarla, dal momento che codesta natura terrea spiegherebbe di per sé

          la sua rotazione diurna, alla luce di quanto ripetutamente ci ha detto. In
          secondo  luogo,  per  quale  ragione  all’improvviso  assume  importanza
          l’«impeto  dell’aria»?  L’impeto  è  rilevante  solo  nel  caso  del  moto

          violento, ma allora perché introdurre adesso il tema del movimento non
          naturale?  E  se  viene,  stiamo  per  caso  tornando  alla  tesi  tradizionale

          secondo  la  quale  il  mezzo  è  responsabile  della  continuità  del
          movimento?  Si  noti,  inoltre,  che  qui  si  introduce  l’identificazione  tra

          aria e vento. Ci sarebbe da sperare che Salviati correggesse tutti questi
          errori,  e  invece  contesta  a  Sagredo  che  non  possiamo  sottovalutare  la

          forza  dell’«aria  mossa»  –  altra  espressione  interessante  –  che  è
          fortissima  e  spinge  navi  pesantissime,  che  rade  al  suolo  boschi  e
          demolisce edifici, senza per ciò essere, e di gran lunga, veloce quanto la





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