Page 463 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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verticale (si veda Opere, VII, p. 200, e la nostra nota 54). L’argomentazione di Galileo
sembra contraddire efficacemente l’aristotelico; essa è quindi retoricamente efficace.
Ma è a favore di Galileo? Ci ritroviamo ancora una volta di fronte alla domanda: dove
termina la retorica e comincia la limitazione, posto che ci sia? Galileo precisa qui che
adotta le premesse dell’autore, ma abbiamo il diritto di chiederci quali sarebbero le sue
se utilizzasse il suo stesso esperimento mentale, ed ecco che allora si presenta una
curiosa situazione. Immaginiamo che il cannone, sparando in verticale, mandi la palla
fino alla Luna. Se seguiamo la tesi che Galileo ha esposto con l’esempio del cannone, la
palla resterà in ogni istante sopra la verticale del cannone. Ma se su questo punto
accettiamo la tesi fatta propria qui da Galileo, quando la palla discende anticiperà la
verticale, e cadrà a est dell’artigliere. Ciò sembra però contraddire l’analisi precedente, e
continua a essere un’alternativa non trascurabile la possibilità che Galileo veda il caso
della conservazione del moto diurno dei corpi terrestri come un caso speciale e diverso
da quella della conservazione del moto dei proietti. In altre parole, è possibile che
importi quale sia la causa della conservazione, e che, non avendo chiara quale sia la
causa stessa, Galileo non abbia neppure molto chiari gli effetti.
105 Drake e Sosio avanzano l’idea che sia possibile vedere in questo passo una
dimostrazione del fatto che Galileo identificava la causa del moto di caduta alla causa
del moto circolare dei pianeti, o perlomeno sospettava che fosse la stessa. A mio
giudizio, questo è un fraintendimento del testo. Non solo, ma se seguiamo
l’argomentazione ciò che salta agli occhi è che Galileo, in numerose occasioni, ci ha
detto che, indipendentemente dalla loro posizione, le parti dell’elemento terrestre, come
nel caso specifico la palla, partecipano del moto diurno per il fatto di essere terrestri. Se
però si pone una palla terrestre nella sfera della Luna, Galileo non sembra tanto certo
che la sua tesi sia abbastanza soddisfacente. Si direbbe che, da un lato, la distanza
dall’elemento comune, vale a dire la Terra, e dall’altro la vicinanza a un altro corpo
celeste, in questo caso la Luna, possano mettere in discussione il presupposto.
Effettivamente, un corpo «terrestre» nelle vicinanze della Luna può considerarsi, quanto
al suo movimento, un altro pianeta. In effetti il suo moto di rotazione si confonde, nei
momenti iniziali della sua caduta, con un moto orbitale, ed è questo, a mio giudizio, ciò
che permette a Galileo di stabilire l’analogia tra il moto di caduta e il moto orbitale
planetario. E qui non è sottesa nessuna idea moderna, anticipatrice. La differenza tra
Galileo e l’aristotelico è che il primo sa di ignorare e l’aristotelico invece no, e questo
gli dà modo di fare dell’ironia. La cosa apparentemente facile (la causa della caduta dei
gravi) è in realtà di tale difficoltà che si può sfidare chiunque a dare una risposta e
impegnandosi in cambio a fare qualsiasi cosa (per esempio, spiegare la cosa più
difficile, la causa del moto planetario) senza nessun timore che l’avversario imbrocchi la
verità. Se così è, a Galileo non passa neppure per la mente di stabilire la causa del
movimento planetario.
106 È chiaro che il concetto di «gravità» al quale qui si allude non ha nulla a che vedere
con quello newtoniano. Nell’accezione aristotelica, essa è semplicemente una proprietà
dei corpi pesanti, cioè gravi. Per Galileo, dire che la causa della caduta di un corpo è la
sua gravità, equivale a dire che la ragione per la quale una cosa è sottile è la sua
sottigliezza. Ovviamente, non abbiamo fatto neppure un passo avanti. È una modalità di
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