Page 468 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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o  trasportati.  La  tradizione  aristotelica  affermava  che  le  sensazioni  comuni  non  sono
          attributi essenziali dei corpi, come invece le sensazioni proprie, ma appartengono alla
          quantità in quanto quantità, ragion per cui i sensi ne sono facilmente ingannati. Galileo
          non solo sottopone a brillante critica questa tesi, ma ribalta anche radicalmente il senso
          della distinzione, con le conseguenze ontologiche e metodologiche ben note e di somma
          importanza.  La  distinzione  galileiana  tra  qualità  primarie  e  secondarie,  in  cui  ci
          imbattiamo in tutta la filosofia moderna, coincide con quella tradizionale ma ne ribalta
          radicalmente  e  definitivamente  il  senso  ontologico  e  metodologico.  Quelli  che  nella
          visione  aristotelica  erano  attributi  essenziali  della  natura,  ora  sono  secondari  e
          soggettivi,  mentre  quelli  che  Aristotele  considerava  accidentali,  estranei  alla  natura

          fisica, adesso diventano le sue qualità primarie, quelle che realmente caratterizzano e
          costituiscono la natura. La realtà naturale è quindi costituita da ciò che è misurabile,
          matematizzabile,  e  per  questo  la  fisica  esige  la  matematica  per  il  suo  studio.  Per  la
          critica  alla  distinzione  aristotelica,  si  veda  Opere,  III,  pp.  390  ss.;  per  la  distinzione
          galileiana, Opere, VI, pp. 347 ss. Si può vedere anche A. Beltrán, 1983, pp. 128 ss.
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               «Secondo  questa  opinione,  è  dunque  necessario  diffidare  dei  nostri  sensi,  come
          totalmente fallibili e ottusi nel giudicare le  cose sensibili, anche le più vicine.  Quale
          verità possiamo dunque sperare che derivi da una facoltà tanto ingannevole?»
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              «Comprender co ’l senso», dice Galileo. Più avanti, soprattutto nella Giornata terza,
          vedremo che Galileo usa «comprender» anche nel senso di «afferrare» (come in qualche
          passo precedente, Opere, VII, p. 273) che include anche il cogliere tramite i sensi. Pur
          intendendo qui il termine in questo senso, il problema epistemologico non scompare, ed
          è chiaro che questo intero paragrafo è un testo cruciale che illustra chiaramente uno dei
          punti  fondamentali  della  differenza  tra  l’empirismo  ingenuo  della  prospettiva
          aristotelica e l’atteggiamento galileiano, nel quale il rapporto tra teoria ed esperienza è
          assai  più  complesso  ed  elaborato.  Testi  come  questo  hanno  permesso  a  Koyré  di
          decidere che la scienza moderna è venuta in essere, contrariamente a quanto affermava
          l’aristotelismo, «nonostante», «in contraddizione con» l’esperienza. Per un commento
          più ampio, mi permetto di rinviare ad A. Beltrán, 1983, pp. 111 ss. Tuttavia vedremo
          che, nell’ambito dell’astronomia, Galileo non mantiene lo stesso atteggiamento di cui dà
          prova nel campo della fisica, illustrato da questo passo.
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              «Dalla natura delle cose».
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              Sebbene così appaia nell’originale del 1632 e nel testo di Favaro, senza indicazione
          alcuna, sembra chiaro che la ripetizione è semplicemente un errore. Sosio lo menziona
          ed elimina la ripetizione.
          140
              Il testo è tradotto nell’intervento immediatamente precedente di Simplicio, là dove
          dice «immaginiamo con Copernico…». La ripetizione, come si vede, ha una funzione
          retorica.
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               Oltre  ai  moti  di  rotazione  e  rivoluzione,  Copernico  aveva  ritenuto  necessario
          attribuire  alla  Terra  un  terzo  movimento  –  in  realtà  due  –  perché  l’asse  di  rotazione
          terrestre  restasse  parallelo  a  se  stesso,  per  spiegare  così  la  variazione  stagionale  e  la
          precessione degli equinozi (Copernico, 1979, libro III, cap. 3, pp. 375-378). In una nota
          alla  seconda  edizione  del  Mysterium  cosmogruphicum  (libro  III,  cap.  1,  nota  8)  già
          Keplero  rifiutava  la  tesi  copernicana  dicendo  che:  «quello  che  era  qui  considerato  il



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