Page 467 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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perché vediamo crollare interi archi».
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Che fosse un punto indivisibile ad attrarre i gravi era proprio ciò che affermava
Aristotele: «Il moto locale dei corpi naturali elementari – vale a dire fuoco, terra,
eccetera – mostra non soltanto che il luogo è un qualcosa, ma anche che esercita una
certa influenza… “All’insù” non indica una qualsiasi direzione casuale, bensì il luogo
verso cui salgono il fuoco e ciò che è leggero. Allo stesso modo, “verso il basso” non
indica una direzione qualsiasi, bensì il luogo verso cui si muovono le cose che pesano e
quelle che sono fatte di terra. Ne consegue che tali luoghi non solo differiscono quanto a
posizione, ma anche perché hanno poteri diversi» (Fisica, IV, 1, 208b 8-22). Galileo sta
semplicemente opponendo ad Aristotele la propria teoria della gravità di origine
platonica. Si veda la nota 38 alla Giornata prima e la p. 86 dell’Introduzione.
127 Galileo si serve qui della terminologia di Copernico, il quale conservava ancora le
sfere materiali nelle quali erano infissi i pianeti, solo che nel suo caso essi si muovevano
intorno al Sole e non alla Terra come nei sistemi aristotelico e tolemaico. Orbis magnus
era il nome che Copernico aveva dato (De revolutionibus, I, 10) alla sfera nella quale
era infissa la Terra, facendole compiere una rivoluzione in un anno. Noi parleremmo
dell’«orbita terrestre». In Opere, VII, p. 406, Galileo lo definisce «cerchio massimo
descritto nel piano dell’eclittica, fissa e immutabile».
128 «Non si accorge di fare il cerchio annuo minore del dovuto, o l’orbe terrestre molto
maggiore del giusto».
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Nell’esemplare già menzionato dell’edizione originale in possesso di Galileo, questi
indica con una riga un margine gli interventi precedenti di Salviati e Simplicio e quello
presente di Salviati fino a questo punto, e scrive di suo pugno la seguente postilla: «Qui
è attribuito l’errore all’autor del libretto, ma veramente l’errore non vi è».
130 È, come abbiamo detto, Scipione Chiaramonti. Si veda l’Introduzione, pp. 68 ss.
131 «In primo luogo, se si accetta l’opinione di Copernico, sembra che il criterio della
filosofia naturale, anche se non del tutto demolito, sia perlomeno gravemente
compromesso».
132 Nel già menzionato esemplare di Galileo, questi scrive in margine: «E tanto è che il
raggio della vista vadia dall’occhio all’antenna, quanto se una corda fusse legata tra due
termini della nave: ora, cento corde sono a diversi termini fermate, e negli stessi posti si
conservano, muovasi la nave o stia ferma».
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«Con la Terra si muove l’aria circostante. Tuttavia il suo movimento, benché sia più
veloce e rapido del vento più veloce, non sarebbe percepito da noi, ma anzi verrebbe
considerato come una somma calma se non si aggiungesse un altro movimento. Quando
mai si potrebbe dire che i sensi ci ingannano, se non in un caso come questo?»
134 «Inoltre anche noi ruotiamo a causa della circonvoluzione della Terra, eccetera».
135 Questa espressione indubbiamente ci riporta ai «sensibili propri». Aristotele (De
anima, II, 6, 418a 6 ss.), nella sua teoria della sensazione e percezione aveva distinto le
sensazioni tra quelli che i latini in seguito avrebbero chiamato «sensibili comuni» (vale
a dire le componenti comuni a tutti i sensi, che sono il movimento, la quiete, il numero e
l’unità, la figura, il volume e forse il tempo) e i «sensibili propri», vale a dire peculiari a
ciascun senso. A questi ultimi si riallaccia l’espressione «sensazioni proprie» di
Simplicio. In questo caso, risulterebbe che il tatto non percepirebbe che siamo trascinati
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