Page 452 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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287-291). In tale capitolo, Copernico segue assai da vicino l’Almagesto, I, 10 di
Tolomeo. Entrambi si muovono infatti sulla scia di Euclide però, come spiega
Copernico, tanto l’uno quanto l’altro sviluppano specificamente la parte che riguarda i
rapporti tra gli archi, gli angoli e le corde, di cui bisogna continuamente riferirsi in
astronomia. I greci non calcolavano con gli angoli o con gli archi, bensì con le corde che
li sottendevano. Successivamente si passò a rappresentare un arco non con la corda che
lo sottende, bensì con la metà della corda – che in seguito si sarebbe chiamata «seno» –
la quale sottende un arco doppio. E infatti Copernico dice: «Penso tuttavia che basti se
nella tavola diamo soltanto la semicorde sottese dell’arco doppio» (Copernico, 1979, p.
231). D’altra parte, sia Tolomeo sia Copernico rimandano alla divisione del cerchio in
360 gradi ma, mentre Tolomeo ricorre alla convenzione consistente nel dividere il
diametro in 120 unità, e altri in seguito in 1.200.000 unità, Copernico ritiene sufficiente
supporre il diametro di 200.000 unità. Muovendo da qui, determina in una serie di
teoremi la misura dei lati di vari poligoni inscritti nel cerchio, così come il valore di
altre corde.
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Se ci fermassimo a questo intervento di Salviati, si potrebbe pensare che Galileo non
sembri ritenere necessario alcun meccanismo di trascinamento dell’aria, come faceva
pagine indietro (si veda la nota 36 a questa giornata) – e come ho detto ritornerò
sull’argomento nella quarta giornata – bensì che ritenga l’aria, per così dire, «terrestre»,
e, di conseguenza dotata naturalmente del moto diurno. Ma, a mio parere, le cose non
stanno così, come si può constatare se si legge l’intera argomentazione. In primo luogo,
risulta significativo che Galileo, nel dialogo che Salviati intreccia poi con Simplicio (un
inciso interrotto da Sagredo con la richiesta «Ma digrazia torniamo a’ nostri uccelli»),
ritenga pertinente parlare del «vento» e dell’«aria» che spinga e porti con sé varie cose.
È ovvio infatti, secondo l’argomentazione dello stesso Galileo, che gli uccelli non
seguono il movimento terrestre perché l’aria li spinge e pertanto la questione non ha
attinenza con l’argomento. A mio giudizio, è chiaro che a Galileo risultava difficile
distinguere «vento» e «aria» nel senso di «atmosfera», e che in ogni caso la questione
del moto diurno dell’aria gli poneva più problemi che non gli oggetti «terrestri». Il fatto
che considerasse quello degli uccelli il caso più difficilmente risolvibile di questo
argomento, a mio parere si deve non tanto all’«esser animati» degli uccelli, bensì al loro
rapporto con l’aria, alla natura aerea del loro mezzo. Si veda più avanti la nota 58 e
l’Introduzione, pp. 92 ss.
57 Accolgo qui la correzione di Sosio che, rifacendosi all’originale del 1632, riporta
«parete» e non «parte», come invece ha trascritto Favaro. È interessante l’accenno alla
«parete» che spinge l’aria, come vedremo nella nota seguente.
58 Come dicevamo, questo argomento mostra che Galileo, pur dicendo a un certo punto
esplicitamente che il movimento è comune a tutti gli oggetti «compresa l’aria», concede
a questa una certa eccezionalità, facendo nuovamente ricorso a un elemento che spinge
meccanicamente l’aria. Galileo stesso ci dice che se il movimento dell’aria, nel caso
della cabina, è comune a quello degli altri oggetti, è perché la cabina è sottocoperta,
chiusa. In altre parole, accade che a spingere l’aria sia la parete di poppa della cabina
stessa. L’aria non si comporta come ogni altro oggetto. La comunanza del movimento
dei vari oggetti con quello della nave dipende dal fatto che questa l’ha comunicato una
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