Page 451 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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pezzo. Più ancora, formula una considerazione che non può non sorprenderci: dà infatti
          per scontata la costanza della velocità verticale della palla e prende in considerazione
          varie situazioni a partire dalla maggiore o minore velocità della Terra. Senza dubbio, noi
          ragioneremmo in modo contrario. Su questo punto richiama l’attenzione anche ciò che
          dice Sagredo (Opere, VII, p. 203): come se l’inclinazione della traiettoria dipendesse
          unicamente ed esclusivamente dal moto della Terra che porta con sé il cannone. Ciò
          induce Clavelin ad affermare che, nella spiegazione di Galileo, «lo spostamento subito
          dal cannone tra le posizioni I e II viene così a sostituirsi puramente e semplicemente al
          principio  di  composizione»  (Clavelin,  1968,  p.  271;  corsivo  nell’originale).  A  mio
          giudizio  quest’affermazione  non  è  corretta  –  anche  se  alcuni  elementi  dell’analisi

          possono non essere chiari, si ha trasversalità solo se c’è composizione, e Sagredo qui e
          Salviati più avanti insistono più volte su questo punto – però aiuta a mostrare ancora più
          chiaramente l’opacità e difficoltà di questa spiegazione di Galileo. Vien fatto di pensare
          che forse Galileo introduce o ha bisogno di introdurre il cannone e di disegnarlo per
          mostrare graficamente l’identità tra la verticale in un punto dello spazio, in un punto
          della  superficie  della  Terra,  e  la  trasversalità  o  inclinazione  nel  tempo,  cercando  di
          evitare così il dualismo che, ciò nonostante, fa rilevare a Salviati.
          Possiamo  pensare  che  Galileo  attribuisca  uno  status  speciale  alla  conservazione  del
          moto diurno dei corpi composti dall’elemento terra, e che le limitazioni indicate, se tali
          sono, abbiano a che fare con questo dato di fatto? Possiamo supporre che Galileo creda
          che  la  palla  conserverà  la  verticale  senza  rimanere  indietro,  nonostante  la  sua
          progressiva elevazione che dovrebbe farla ritardare, dato questo particolare rapporto tra
          la  parte  e  il  tutto?  Non  è  escluso  che,  come  mi  fa  notare  Carlos  Solís,  io  stia
          dimenticando l’aspetto retorico dell’argomentazione di Galileo, il quale potrebbe avere

          l’intenzione di semplificare coscientemente e volontariamente, il problema per rendere
          l’argomentazione meno complessa senza allontanarsi dalla questione centrale – il moto
          della Terra –, introducendo volta per volta il minimo di novità. Non è escluso, pertanto,
          che  quelle  che  qui  definisco  possibili  limitazioni  siano  semplici  conseguenze  della
          strategia galileiana. Non vedo però prove lampanti né in un senso né nell’altro e, rebus
          sic stantibus, preferisco correre il rischio di segnalare lacune inesistenti piuttosto che
          riempirle, qualora esistano, con idee che a noi sembrano ovvie. La nota 105, più avanti,
          non manca di interesse ai fini del presente problema e può riproporre la questione alla
          quale qui accenno.
          Appare inquietante e strano che proprio su questo punto sia Sagredo colui che introduce
          e spiega la teoria mentre Salviati, l’alter ego di Galileo, commette errori concettuali,
          risulta oggetto di critica e mantiene inizialmente le distanze. Si potrebbe pensare che
          Galileo si comporti così perché non sia del tutto soddisfatto della sua analisi e tenti di
          attenuare  la  responsabilità  dei  possibili  errori  mettendo  la  teoria  in  bocca  a  Sagredo.
          Salviati più avanti fa proprio l’argomento di Sagredo, ma curiosamente solo per fare
          confusione tra gli uccelli – sempre gli uccelli! – e i cacciatori, e per venire nuovamente
          ripreso da Sagredo. Credo comunque che questi punti siano meritevoli di un’analisi più
          attenta.
          55  Galileo rimanda qui al De revolutionibus, lib. I, cap. 12, a conclusione del quale si

          trova la tavola cui fa riferimento (Copernico, 1543, cc. 15b-19a; Copernico, 1979, pp.




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