Page 448 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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46   Archimede  (287-212  a.C.),  uno  dei  grandi  matematici  greci,  divenne  inizialmente
          famoso per la sua abilità nell’applicare la matematica a problemi meccanici e quotidiani
          di varia natura. Fu il matematico che probabilmente Galileo ammirava più di ogni altro,
          e  infatti  gli  riserva  sempre  epiteti  elogiativi.  Archimede  si  mostrò  particolarmente
          originale in un’epoca di compilatori; tra le sue opere figura un trattato De spiralibus;
          nell’introduzione, e poi nelle definizioni, Archimede formula il seguente enunciato: «Se
          una linea retta, rimanendo [fermo] un estremo, viene fatta notare nel piano con velocità

          costante fino a farla tornare di nuovo nella posizione dalla quale è partita, e insieme con
          la  retta  rotante  viene  mosso  un  punto  sulla  retta  con  velocità  costante  cominciando
          dall’estremo fisso il punto descrive nel piano una spirale» (Archimede, Spirali, in Id.,
          Opere, a cura di Attilio Frajese, UTET, Torino 1974, p. 320. Come risulta più avanti,
          Galileo cita quasi testualmente il passo.
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              Come  fa  notare  Koyré  (1955,  p.  329)  nella  sua  particolareggiata  analisi  di  questo
          problema,  tutti  coloro  che  lo  affrontarono,  fino  allo  stesso  Newton,  condivisero  con
          Galileo un errore che impediva una soluzione soddisfacente del problema, vale a dire la
          credenza  che  i  corpi  in  caduta  debbano  in  ogni  caso  giungere  al  centro  della  Terra.
          Robert Hooke fu il primo a mostrare che, in una Terra che ruota sul proprio asse, i corpi
          in caduta non raggiungerebbero il suo centro. Quanto a Galileo, al pari dei suoi critici

          Mersenne e Fermat, concepisce la traiettoria come la risultante della composizione del
          moto rettilineo verso il centro della Terra e di un moto circolare uniforme, non del moto
          rettilineo e del moto tangenziale uniforme, confondendo il moto circolare uniforme di
          un corpo con quello del suo raggio vettore (Ibid., pp. 374-375).
          48   Sembra  evidente  che  Galileo  conoscesse  queste  tre  «meraviglie»  e  furono  proprio
          queste a indurlo a formulare la sua teoria della traiettoria semicircolare, e non viceversa.
          Sembrano  pensarla  così  sia  Riccioli  sia  Mersenne,  là  dove  afferma  che  Galileo  fu
          indotto in errore per avere «pensato più alle belle corrispondenze e conseguenze che ne
          trasse» che non a considerare in modo approfondito l’argomento (cit. da Koyré, 1955, p.
          341).
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             Cominciamo col dire che questa teoria è falsa, come del resto fu fatto notare poco
          dopo  la  pubblicazione  del  Dialogo  da  Mersenne,  che  segnalò  numerosi  errori

          nell’argomentazione  di  Galileo.  Mersenne  rileva  che,  stando  al  disegno  e  alla
          descrizione di Galileo, il corpo in caduta percorrerebbe il semicerchio CIA in sei ore,
          dal momento che deve farlo nello stesso tempo in cui C percorre un quarto del suo moto
          diurno. Ma, se ragioniamo in base alla legge galileiana della caduta dei corpi, calcola
          Mersenne, una palla di cannone tarderebbe di venticinque o ventisei minuti, durante i
          quali la Terra percorrerebbe 6,5°: dal che si deduce che la traiettoria sarebbe ben diversa
          da  una  semicirconferenza.  Stando  alla  soluzione  proposta  da  Galileo,  prosegue
          Mersenne, il corpo in caduta non obbedirebbe alla legge della caduta dei corpi scoperta
          dallo  stesso  Galileo.  Lo  spazio  percorso  non  sarebbe  proporzionale  al  quadrato  dei
          tempi,  ma  risponderebbe  a  una  legge  secondo  la  quale  lo  spazio  percorso  è
          proporzionale  al  senoverso  dell’angolo  di  rotazione  –  il  senoverso  di  un  angolo  α  è
          uguale a (1-cos α) [Il termine senoverso, nel significato trigonometrico, dal latino sinus
          e versus, da vertere, rovesciare, oggi non è più in uso; è pari al complemento all’unità
          della funzione coseno: senv α = 1 cos α. Ndt] – che è proporzionale al tempo. Nel 1637,




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