Page 443 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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Copernico ritenne necessario introdurre un terzo moto per mantenere l’asse della Terra
          parallelo a se stesso. Attribuì perciò un movimento conico all’asse della Terra, la cui
          proiezione  sulla  sfera  celeste  percorreva  un  cerchio  –  di  23,5°  di  raggio
          approssimativamente  –  intorno  all’asse  dell’eclittica,  contrario  al  moto  annuo,  vale  a
          dire da est a ovest, in poco meno di un anno. Questa piccola differenza tra il periodo di
          rivoluzione  annua  del  centro  della  Terra  e  il  tempo  impiegato  dall’asse  terrestre  per
          completare un cerchio, è quella che spiega la precessione degli equinozi. A causa del
          credito da lui attribuito alle osservazioni antiche, Copernico pensava erroneamente che
          la  precessione  degli  equinozi  fosse,  non  uniforme,  bensì  irregolare,  con  uno  scarto
          periodico di 1717 anni e una rivoluzione completa degli equinozi in 25.816 anni. Per la

          stessa ragione, credeva che l’obliquità dell’eclittica variasse, oscillando tra 23° 52’ e 23°
          58’ ogni 3434 anni; e per spiegare queste irregolarità, aveva attribuito all’asse terrestre
          due  movimenti  o  «librazioni»  perpendicolari  tra  loro,  la  cui  combinazione  tracciava
          «certe linee somiglianti a un piccolo ricciolo». Fu Newton, nei Principia, a identificare
          la causa della precessione degli equinozi, derivandola dalla sua teoria della gravitazione:
          la precessione sarebbe frutto dell’attrazione che il Sole e la Luna esercitano sopra la
          protuberanza equatoriale della Terra. Newton calcolò (Principia, III, prop. XXXIX) che
          la precessione annuale degli equinozi dovuta alla forza del Sole fosse di poco più di
          nove  secondi.  E  avendo  dimostrato  che  l’attrazione  esercitata  dalla  Luna  sul
          rigonfiamento equatoriale terrestre è 44.815 volte maggiore di quella del Sole, ecco che
          la precessione annuale degli equinozi dovuta alla Luna è un po’ maggiore di quaranta
          secondi, e così grazie a entrambe queste componenti abbiamo i cinquanta secondi di
          precessione osservati (si veda Newton, Philosophiae naturalis principia mathematica,
          II, pp. 720-722).
          23  Aristotele difficilmente avrebbe potuto accettare questa caratterizzazione della Terra.

          Stando almeno ai commentatori considerati ortodossi, quanto più un corpo si avvicina al
          suo luogo naturale, tanto più vicino è a raggiungere la propria forma e, pertanto, pesa e
          rimarrà in quiete o resisterà a essere mosso (si veda per esempio De caelo, II, 14, 295b
          20-25).  È  questa  l’interpretazione  difesa  per  esempio  da  Alessandro  di  Afrodisia  e
          Simplicio. D’altro canto, già con Ipparco si delinea una corrente critica, la quale afferma
          che i corpi sono tanto più pesanti quanto più lontani sono dal loro luogo naturale. Ne
          dobbiamo dedurre che nel loro luogo naturale non pesano, e in tal caso sarebbe lecito
          pensare che effettivamente un corpo potrebbe essere indifferente al movimento o alla
          quiete. È ovvio però che questa non  è un’idea aristotelica (vedi in proposito  Shmuel
          Sambursky, The Physical World of Late Antiquity, Routledge & Kegan Paul, London,
          1962). In ogni caso, al tempo di Galileo la questione fu ampiamente trattata dai gesuiti
          del  Collegio  Romano  come  Valla  o  Vitelleschi,  i  quali  aderirono  alla  tesi  che  gli
          elementi – in concreto, l’aria, l’acqua e la terra – nei loro luoghi naturali non pesano,
          aggiungendo inoltre che l’intera tradizione peripatetica su questo punto si era discostata

          da  Aristotele  (si  veda  Wallace,  1984,  pp.  178-183).  Nel  De  motu,  II,  pp.  285-289,
          Galileo  presenta  argomentazioni  dello  stesso  tenore,  anch’egli  criticando  la  tesi
          aristotelica,  e  indubbiamente  sono  questi  precedenti  a  indurlo  a  sentirsi  autorizzato  a
          supporre, contrariamente alla concezione aristotelica, che la Terra non pesi.
          24  È la versione latina e occamista di ciò che Galileo ha detto già in pagine precedenti (si




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