Page 43 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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neppure per un momento egli pone in discussione. E il suo dubbio è
coerente con il fatto che la sua teoria afferma che la «virtus impressa»,
che ha dato il via al movimento della sfera, si estingue da sola. In realtà,
la connessione tra la circolarità, la naturalità e l’eternità del movimento
era stata affermata unanimemente fin dall’Antichità, attribuendola al
mondo celeste. Ma questa possibile analogia, se facilitava le cose, era
però anche il principale ostacolo. Il fatto è che, ciò nonostante, Galileo si
pone qui la possibilità di ridefinire ex novo il «movimento naturale» – il
moto di approssimazione al centro, vale a dire di caduta, era finito per
definizione – qualificando come tale il movimento circolare e
associandolo alla «eterna conservazione», però applicandolo adesso al
mondo sublunare: il mondo terrestre, e particolarmente il globo terrestre.
In ogni caso è chiaro che il De motu non è semplicemente un testo sul
movimento locale terrestre, come i Discorsi. Qui, la sua teoria del
movimento appare esplicitamente intrecciata con un’ontologia e una
cosmologia, sebbene in queste sia palese la tensione tra il divino
Archimede e un Aristotele in ritirata che tuttavia non è ancora totalmente
sconfitto. Cosa che risulta manifesta nella sua concezione dell’ordine del
cosmo, che comprende quello dei suoi elementi. E quest’ultimo è un
punto che desidero mettere qui in rilievo.
Nel De motu, Galileo rivela la sua insoddisfazione per la teoria
tradizionale dei luoghi naturali. Risulta evidente che i corpi sono ordinati
secondo la loro gravità. Donde l’ordinamento in sfere elementari. In
realtà, ironizza Galileo, i filosofi accettano il principio che la natura non
faccia alcunché invano, poi però non spiegano quest’ordine se non come
un mero capriccio della Suprema Provvidenza o come qualcosa di
fortuito. Ma non si può rinunciare così facilmente alla scienza.
«Tuttavia, se consideriamo la cosa con maggiore precisione, non dovremo
sicuramente stimare che in tale distribuzione la natura non abbia avuto alcuna
necessità o utilità, ma che abbia operato in qualche modo solo ad arbitrio e a
cosaccio. Non potendo in alcun modo attribuire una cosa del genere alla
provvida natura, fui per un po’ di tempo ansioso di escogitare, se non una causa
necessaria, almeno una qualche causa conveniente e utile; e trovai che la natura
ha scelto quest’ordine non senza un ottimo diritto e una somma prudenza.
Essendo infatti, come piacque agli antichi filosofi, una sola la materia di tutti i
corpi, ed essendo i più gravi quelli che racchiudono in uno spazio più angusto un
maggior numero di particelle di quella materia, come affermavano quei
medesimi filosofi, forse ingiustamente confutati da Aristotele nel IV libro De
caelo, fu certamente conforme a ragione che quelli che racchiudono più materia
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