Page 28 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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misura di quanto era loro possibile, imposero agli altri. È certo però che,
se accettiamo di trasferirci nell’ambito del privato, non è chiaro per
quale ragione dovremmo concedere una qualche priorità al pensiero
rispetto all’obbedienza, alla quale mi riferirò di continuo. È chiaro infatti
che in tal modo si compie un’operazione di «differenziazione» simile e
altrettanto illegittima di quella criticata appunto da Baldini.
La cosa più importante in quest’ambito è forse il fatto che grazie alle
fonti riportate in luce da Baldini, possiamo sì conoscere i gesuiti
collettivamente e individualmente, non però la scienza del XVII secolo,
per dirla francamente. Né si dovrebbe sottacere il fatto che la scienza è
«conoscenza pubblica»: in altri termini, il fatto che alcuni matematici
della Compagnia avrebbero tentato di sviluppare tesi più consone alla
nuova scienza, che la censura interna li avrebbe messi a tacere ed essi lo
avrebbero accettato, non cambia minimamente il ruolo svolto dai gesuiti
in campo scientifico, culturale e ideologico nel XVII secolo. E il fatto
che i gesuiti, non solo dissimularono le loro idee «moderne», ma anzi
difesero accanitamente le tradizionali, introduce un’ulteriore
problematica che indubbiamente richiederebbe, per essere affrontata, un
Frank E. Manuel. Ciò che risulta indubbio è che vivere e sopravvivere,
per di più con entusiasmo, in una contraddizione flagrante come quella
dei matematici gesuiti, risultava, senza alcun dubbio, assai difficile. Una
parziale scappatoia alla quale alcuni di loro fecero ricorso consistette nel
non pubblicare testi relativi a problemi scientifici compromettenti. Senza
dubbio, però, il caso più vistoso è quello di coloro che non solo non
riuscirono a pubblicare le loro idee, probabilmente già assai annacquate,
ma i cui testi furono corretti al punto da esprimere posizioni oltremodo
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conservatrici o critiche rispetto alle loro stesse opinioni. Ben presto, in
effetti, emersero alcuni testimoni attendibili della duplicità dei gesuiti.
Poco dopo la condanna di Galileo, il gesuita Athanasius Kircher si
confidò con N.F. de Peiresc il quale, in una lettera del 6 settembre 1633,
ne dava notizia a Gassendi:
«Il buon padre Atanasio [Kircher], che abbiamo visto quando passò di fretta da
queste parti, non poté fare a meno di confessarci, in presenza del padre Ferrand,
che il padre Malapert e lo stesso Clavio non disapprovavano affatto l’opinione di
Copernico e che non erano molto lontani da essa, ma erano stati spinti e costretti
a scrivere a favore delle comuni supposizioni di Aristotele, che lo stesso padre
Scheiner seguiva unicamente per ordine e obbedienza, tanto che non faceva
difficoltà ad ammettere che sul corpo della Luna esistessero non solo montagne,
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