Page 262 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
P. 262
estensione dell’acqua stessa. «Ora, noi supponiamo che la Luna sia perfettamente liscia
e non presenti nessuna asperità. E infatti Aristotele pensò che tutti i corpi celesti fossero
fatti così.
«Altri suppongono, con maggiore probabilità, che la Luna non sia luminosa in modo
attuale, e che non sia in grado di mettere in movimento da se stessa un mezzo
trasparente. Ma grazie alla sua disposizione naturale, potenzialmente è prossima a
trasformarsi in luminosa, e quando la luce del sole cade su di essa, eccola costretta a
brillare in modo attuale», Buridano, Quaestiones super libris de caelo et mundo, Cod.
lat. 19.551, folio 97 col. B., cit. da Duhem, 1958, vol. IX, pp. 420-421. Buridano si rifà
ad Averroè e alla fine propende anche verso la sua ipotesi della fluorescenza della Luna,
alla quale allude a conclusione del testo citato. La somiglianza della sua argomentazione
con quella di Galileo, così personale, è tanto più indicativa dal momento che le loro
conclusioni sono contrapposte, come tanto spesso accade con Buridano e Oresme,
rispetto a Copernico e a Galileo.
75 Finora nessuno ha identificato il riferimento, evidentemente letterario se teniamo
conto delle virgolette. In ogni caso, Galileo molto spesso mescola parafrasi o sintesi dei
testi che cita invece dei testi veri e propri, cosa che ne rende più ancora difficile
l’identificazione.
76
Nell’edizione originale, a conclusione dell’intervento di Simplicio, si ha: «abbia a
ripercuoter maggior lume che uno specchio terso e pulito. SALV. Maggior lume no», ma
nel suo già menzionato esemplare, Galileo corresse la frase di mano propria, scrivendo
quanto appare nel nostro testo.
77 Galileo trascrive qui, intenzionalmente, un testo alquanto oscuro, di autore non
identificato, come del resto quello tra virgolette di qualche pagina più sopra. In ogni
caso, il termine «spezie» si rifà a una delle teorie della visione secondo la quale questa
consisteva nella ricezione da parte dell’occhio delle «specie» o «simulacri», vale a dire
«immagini» di se stesse emesse dalle cose. Nonostante il suo uso e perfezionamento
tecnico del telescopio, Galileo non dà mai a vedere di avere conosciuto le nuove idee di
Keplero (Ad Vitellionem paralipomena del 1604 e la Dioptrice del 1611) che
inaugurarono l’ottica moderna. In realtà, nonostante l’ironia con cui replica
all’aristotelico, Galileo personalmente non riuscì mai a superare l’ottica delle «specie».
78 «Le tenebre sono privazione di luce». È una definizione che deriva dalle idee
formulate da Aristotele nel De anima, II, 7, 418b 18 ss.; e, più letteralmente, nel De
sensu, 439a 20.
79 L’espressione «raggi visivi» o «raggi della vista», come Galileo dice più sotto, ci
riporta ancora una volta alla teoria ottica tradizionale. Inizialmente, nel mondo greco si
ebbero due grandi schemi esplicativi del meccanismo della visione. Una teoria, cui
abbiamo già accennato, era quella che, prendendo le mosse dai filosofi atomisti per i
quali ogni percezione sensibile era tattile, spiegava la visione come percezione, da parte
dell’occhio, delle «specie», «immagini» o «simulacri» emessi dagli oggetti. L’altra era
quella inaugurata dai pitagorici e sviluppata da matematici come Euclide o Tolomeo,
secondo la quale l’occhio emetteva un fuoco identificabile con alcuni raggi visivi o
della vista, che toccavano gli oggetti trasmettendo all’anima la sensazione della visione.
Tuttavia, ben presto sarebbe stata proposta una sorta di sintesi tra le emissioni degli
262