Page 261 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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all’eclittica ovvero orbita terrestre, la quale fa sì che vediamo la Luna «da più in basso»
o «da più in alto», con la conseguente variazione del suo apparente contorno lunare.
Esiste però una terza librazione che Galileo non menziona, ed è la librazione in
longitudine. La Luna descrive in realtà un’orbita leggermente ellittica – la sua
eccentricità è di 1/18 – cosicché, in forza della seconda legge di Keplero, la velocità
lungo la sua orbita varia nel senso che la Luna si muove più lentamente all’apogeo
ovvero punto dell’orbita più lontano dalla Terra, che non al perigeo o punto più vicino.
Ciò nonostante, la velocità di rotazione della Luna si mantiene costante, e ciò ha per
effetto un’oscillazione apparente verso est e ovest, in conseguenza della quale possiamo
vedere un’ulteriore fetta a destra e a sinistra. La librazione diurna rappresenta ±1,2°,
quella in longitudine ±8° e quella in latitudine ±6,7°. Si potrebbe pensare che, quando
Galileo descrive gli effetti della librazione diurna, nel modo in cui lo fa, cioè con
variazioni a seconda che la Luna sia situata a oriente o a occidente, non distingua la
librazione diurna da quella in longitudine; certo è però che Galileo non parla della
librazione in longitudine. In qualunque caso, è senz’altro certo che si deve alla
combinazione delle librazioni se vediamo, non un 50% bensì un 59% della superficie
lunare.
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Si tratta della luce secondaria o luce cinerea che Galileo aveva spiegato già nel
Sidereus nuncius. Si veda Galilei (1948), pp. 29-37.
72 Secondo Drake, si tratta di Cesare Cremonini, celebre rappresentante
dell’aristotelismo padovano, che in diversi momenti fu oggetto di accuse e sospetti di
eresia. Può darsi che le comuni afflizioni siano state il fondamento dell’amicizia tra
Cremonini e Galileo i quali, nonostante le radicali differenze filosofiche, in molte
occasioni si aiutarono e sostennero a vicenda.
73 Si veda Opere, VI, pp. 283, ss.
74 Ritengo opportuno citare alcuni testi medievali relativi a queste questioni. Fin
dall’antichità classica si era osservata «la macchia della Luna» e, per spiegarla, si erano
formulate numerose ipotesi circa la natura dell’astro, l’origine della sua luce, la sua
densità o rarità, la capacità di assorbire la luce e rifletterla, ecc. Plutarco e Averroè
hanno ruoli importanti in questa storia. Qui però mi limiterò a citare un passo di
Buridano il quale, dopo aver alluso al fatto che la Luna non riflette la luce come uno
specchio, perché la rinvia in tutte le direzioni, prosegue: «Alcuni hanno voluto salvare
questo ragionamento dicendo: la Luna è come un muro; quando i raggi del Sole cadono
su un muro, questo appare illuminato nella sua totalità e non soltanto secondo le linee
lungo le quali il raggio incidente e il raggio riflesso formano angoli uguali. E così
accade con la Luna.
«Ma questa soluzione è insufficiente. Se si ha riflessione al nostro occhio da tutte le
parti del muro è, diciamo noi, a causa della rugosità del muro, alla quale si deve se tutti i
raggi sono rifratti in tutti i sensi. Se al contrario il muro fosse perfettamente liscio, come
uno specchio di acciaio, non si avrebbe una grande luminosità diffusa in tutto il muro,
ma la si vedrebbe unicamente nella parte che abbiamo detto.
«Lo si vede chiaramente in un’acqua tranquilla: solo una piccola parte di quest’acqua ci
rimanda intensamente la luce del Sole o di altri astri; ma se si agita un po’ l’acqua, in
modo che la superficie non sia liscia, la stessa luce si diffonde sopra una vasta
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