Page 258 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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separarsi dell’anima dal corpo di Cristo, è strappato: già la struttura tutta si inclina ed
          essi da tanto fragore come di morte, anche se addormentati ora sono spinti a svegliarsi
          […].  Le  cose  sacre  sono  calpestate,  gli  altari  rovesciati,  il  tempio  in  rovina:  dove  ci
          rifugeremo,  dove,  io  dico?»  (cit.  da  Redondi,  1983,  p.  288,  p.  269,  con  un  ampio
          commento). Mettere l’una accanto all’altra l’immagine architettonica del tono giocoso
          di Galileo e la sua contropartita apocalittica non può non dare i brividi.
          58  Possiamo accettare che Galileo abbia affidato a Dio il compito di rifare i cervelli, e

          d’altro  canto  tentò  di  rifare  le  menti  dei  suoi  oppositori.  In  altre  parole,  tentò  di
          insegnare loro a pensare a partire da alcuni «principi della scienza» diversi da quelli che
          ritenevano  sacri.  Ed  è  appunto  quello  che  tenta  di  fare  in  quest’opera,  rendendo
          manifesta la chiara consapevolezza della rottura della sua posizione rispetto alla loro
          filosofia  naturale.  È  difficile  stabilire  se  in  questo  passo  a  dominare  sia  l’ironia  o  il
          disincanto.
          59  All’inizio del XVI secolo era un luogo comune tra gli aristotelici essere «evidente che
          la  forza  degli  astri  e  dell’aria  intervengono  nella  generazione  e  corruzione  dei  corpi
          viventi»  (Sisinius,  De  natura  foetus,  Roma,  1615,  p.  13).  Del  resto,  nello  stesso
          Aristotele  ci  si  imbatte  in  passi  che  non  si  prestano  a  equivoci  in  merito.  Si  veda  la
          nostra nota 90 a questa Giornata prima.
          60  «La natura non fa nulla invano». È un’espressione classica del finalismo, un principio

          formulato  abbondantemente  in  Grecia  e  in  seguito  da  Aristotele  che  lo  sviluppa  in
          Fisica, II, 198b 10-199b 33, e lo formula in testi come De caelo, I, 271a 33, come pure
          in numerosi passi della metafisica e dei trattati di «biologia». La formulazione latina è
          forse tratta da Galeno (De usu partium, X, 14).
          61  Quando la Luna e il Sole, visti dalla Terra, si trovano a 180° l’uno dall’altra. Si veda
          più avanti la nota 63.
          62
             Questi argomenti sono esattamente analoghi a quelli usati da Tolomeo per affermare
          la sfericità della Terra (Almagesto, I, 4).
          63  Gli «aspetti» sono gli angoli (o archi di ellittica) che formano le linee visive che dalla

          Terra si dirigono ai vari pianeti. Galileo allude continuamente a tre di essi, riferendosi
          alla Luna e al Sole: la congiunzione in cui la Luna e il Sole coincidono nella stessa linea
          visiva  e  senza  formare  angolo;  l’opposizione,  nella  quale  si  trovano  a  lati  opposti
          dell’osservatore e separati da 180°; le due quadrature, nelle quali sono separati da 90°.
          Come risulta evidente, la congiunzione corrisponde alla Luna nuova, e la si ha quando
          possono prodursi eclissi solari, e l’opposizione corrisponde alla Luna piena, e la si ha
          quando  possono  prodursi  eclissi  lunari.  Le  quadrature  corrispondono  al  primo  quarto
          (Luna crescente) all’ultimo quarto (Luna calante).
          64  Cosa questa che è possibile perché sebbene nella congiunzione il Sole e la Luna si

          trovino alla stessa longitudine celeste, non stanno esattamente nella stessa latitudine. Se
          infatti la Luna si trovasse sempre nel medesimo piano dell’ellittica ogni qualvolta fosse
          in opposizione e in congiunzione, si produrrebbe rispettivamente un’eclisse di Luna e di
          Sole.  In  realtà,  però,  la  Luna  oscilla  costantemente  –  di  circa  5°  –  a  nord  e  a  sud
          dell’eclittica e ciò fa sì che le eclissi visibili da una determinata posizione della Terra,
          siano fenomeni piuttosto rari.
          65   I  greci  non  riuscivano  a  concepire  che  i  corpi  celesti  potessero  muoversi  se  non



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