Page 251 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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catena o infilzati ’n un’asta, si conseguitino l’un l’altro, sì che all’incitarsi o ritardarsi
dell’uno, si acceleri o ritardi l’altro» (Opere, VII, p. 544).
34 «Con chi nega i principi non si deve discutere», affermazione che proviene da
Aristotele, Fisica, I, 2, 185a 1 ss.: «Esattamente come un geometra non ha nulla da dire
a chi neghi i principi della sua scienza…, così un uomo che indaghi i principi non può
discutere con uno che nega la loro esistenza». Si tratta di un principio che i critici
aristotelici di Galileo gli rinfacciarono più volte scandalizzati. È chiaro che, oltre a
illustrare una volta di più la fedeltà degli aristotelici alle formule e al formalismo del
Maestro e in generale della tradizione, il principio illustra chiaramente la difficoltà di
comunicazione tra i metodi di Galileo da un lato e quelli dello scienziato tradizionale
dall’altro. L’assenza di comunicazione è tanto radicale da far sembrare che non possano
mettersi d’accordo neppure circa la cosa più elementare, la più sicura e solida, sulla
quale poggia tutta la teoria: i fatti, l’esperienza, l’evidenza dei sensi.
35 De caelo, IV, 4-5, 311a 15-312b.
36 «Accidentalmente», «per caso». L’affermazione deriva da Aristotele, De caelo, II, 13,
296b 15-16: «Si dà comunque il caso che il centro della Terra e il centro del tutto
coincidano. I corpi gravi, infatti, si muovono verso il centro della Terra, ma
accidentalmente, in virtù del fatto che il centro della Terra si trova nel centro del tutto».
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Galileo qui gioca con il titolo collettivo delle opere di logica di Aristotele, Organon,
l’organo come parte funzionale del corpo e l’organo come strumento musicale. Quanto a
ciò che segue, Aristotele ha scritto anche un’opera intitolata Poetica.
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Qui Galileo non solo denuncia l’errore di confondere senz’altro il centro della Terra
con il centro dell’universo, ma almeno in parte si oppone direttamente al finalismo e
animismo della concezione aristotelica dei «luoghi naturali». Aristotele attribuisce
esplicitamente una certa «facoltà» ai «luoghi naturali» e, in concreto, al centro del
mondo, laddove dice che alto e basso non si distinguono solo in rapporto a noi, ma in
senso assoluto perché è la natura a distinguerli. «Il moto locale dei corpi naturali
elementari – vale a dire, fuoco, aria, ecc. – mostra non solo che il luogo è un qualcosa,
ma che esercita una certa influenza… “In alto” non indica una qualunque direzione
casuale, bensì quella in cui si dirigono il fuoco e ciò che è leggero. Allo stesso modo,
neppure “in basso” indica qualsivoglia direzione, bensì il luogo dove si dirigono le cose
che pesano e quelle che sono fatte di terra. Ne deriva che tali luoghi, non solo
differiscono per la loro posizione, ma anche perché sono dotati di diversi poteri» (Fisica
IV, 1, 208b 8-22). D’altro canto, questa è una delle numerose occasioni in cui Galileo
lascia in sospeso la questione della finitezza o infinità dell’universo. Si veda
l’Introduzione, pp. 79-82.
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Si veda De caelo, I, 2-3, 269a-270b.
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È evidente che Galileo era in dubbio circa il tipo e la messa a fuoco dell’opportuna
risposta a questa accusa che fu di fatto frequente nella disputa tra difensori della
tradizione e protagonisti della controriforma da un lato e i «novatori», i «virtuosi», i
«curiosi» dall’altro; con il suo Saggiatore, Galileo aveva sfidato apertamente e
clamorosamente questa cultura ufficiale (si veda Redondi, 1983, specialmente cap. 3 che
descrive in maniera brillante lo scontro tra le due correnti). I dubbi di Galileo risultano
chiaramente palesi in vari Frammenti: da due di essi emerge che egli era tentato di dare
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