Page 246 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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riferisce  qui  al  processo  di  aumento  della  velocità,  che  è  l’opposto  o  inverso  del
          «rallentamento» o perdita di velocità. Non si tratta dunque della «grandezza» fisica che
          il termine acquista nella fisica newtoniana, e che Galileo non giunse a concepire. Va
          detto, d’altra parte, che la caratterizzazione dell’accelerazione proposta qui da Galileo è
          assai vicina a quella animistica di Aristotele: la terra si muove tanto più rapidamente
          quanto più è vicina al centro» (De caelo, I, 8, 277a 28-30), ed è completamente diversa
          dalle linee di riflessione di Galileo, palesi in tutta la sua opera, circa la natura o proprietà
          dell’accelerazione  dei  corpi  di  caduta.  Alla  luce  di  queste  considerazioni,  è  stata
          avanzata  l’ipotesi  (Galluzzi,  1979,  p.  327,  nota  45)  che  Galileo  se  ne  serva
          semplicemente  perché  si  sposa  bene  con  il  «mito  platonico»,  e  che  non  si  deve

          attribuirle  eccessiva  importanza.  Infatti,  nei  Discorsi  (Opere,  VIII,  p.  202)  Galileo
          menziona la causa dell’accelerazione, definendo «fantasie» le varie spiegazioni che «da
          varii  filosofi  […]  sono  state  prodotte».  Finocchiaro,  invece,  attribuisce  grande
          importanza a queste tesi di Galileo sull’accelerazione (si veda Finocchiaro, 1980, pp. 80
          ss.).
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             Nella sua edizione, Favaro ha utilizzato anche un esemplare dell’edizione originale
          del Dialogo appartenuta a Galileo, che contiene annotazioni e correzioni di sua mano, e
          oggi  è  conservata  nella  Biblioteca  del  Seminario  di  Padova.  In  tale  esemplare,  dopo
          «miracolosa» prima della replica di Sagredo, si legge la seguente aggiunta, vergata dallo
          stesso Galileo. «Muovasi con qual si voglia velocità qual si sia poderosissimo mobile,
          ed  incontri  qualsivoglia  corpo  costituito  in  quiete,  ben  che  debolissimo  e  di  minima

          resistenza; quel mobile, incontrandolo, già mai non gli conferirà immediatamente la sua
          velocità: segno evidente di che ne è il sentirsi il suono della percossa, il quale non si
          sentirebbe,  o  per  dir  meglio  non  sarebbe,  se  il  corpo  che  stava  in  quiete  ricevesse,
          nell’arrivo del mobile, la medesima velocità di quello.»
          23  Il termine italiano «impeto», con cui Galileo traduce il termine tecnico impetus,  ha
          una  sfera  semantica  diversa.  Qui  è  importante  capire  fino  a  che  punto  Galileo
          conoscesse, e se ne servisse, concezioni anteriori e in che misura elaborasse la propria
          concezione  indipendentemente,  pur  servendosi  degli  stessi  termini.  Potremmo
          sintetizzare la storia in questione come segue.
          Assodato il principio secondo cui «tutto ciò che si muove è mosso da qualcosa» (Fisica,
          VII, 1, 2, 241b 34), Aristotele incontrò gravi difficoltà nello spiegare la continuità del
          movimento dei proietti, una volta che cessavano di essere in contatto con il proiciente
          (Fisica,  VIII,  10,  266b  27  ss.).  Ma,  anche  nel  caso  dell’accelerazione  dei  gravi  in
          caduta, la sua spiegazione risentiva di grandi difficoltà o insufficienze e fu assai presto
          oggetto  di  critiche.  Secondo  Simplicio  (si  veda  Clagett,  1972,  p.  579),  il  famoso

          astronomo Ipparco aveva introdotto una teoria alternativa che unificava la spiegazione
          del movimento naturale e di quello violento. Secondo tale teoria, quando lanciamo una
          pietra all’insù, le imprimiamo una virtù o forza che fa sì che si muova verso l’alto, a
          patto che tale virtù sia più forte della tendenza naturale del corpo verso il basso. A mano
          a  mano  che  diminuisce  la  virtù  motrice  impressa  al  corpo,  questo  rallenta  la  propria
          ascesa e quando la gravità della pietra è in equilibrio con tale virtù, la pietra si ferma e
          immediatamente comincia a cadere. In questo momento, però, la virtù motrice impressa
          non è ancora uguale a zero, ma solo minore della tendenza verso il basso dovuta al peso




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