Page 243 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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costituiva un fattore di dissenso e disputa con il platonismo nel campo della filosofia
          naturale.
          9  Il testo aristotelico suona: «Tutti i corpi e le grandezze naturali, noi diciamo, sono per
          se stessi mobili secondo il luogo; diciamo infatti che la natura è principio di movimento
          in essi» De caelo, I, 2, 268b 15-17, trad. it. di Oddone Longo, 1962, p. 7.
          10   Il  significato  delle  parole  di  Sagredo  non  è  chiaro,  ma  un  altro  luogo  o  testo

          aristotelico pertinente, oltre a quello già citato nella nostra nota 9, è il seguente: «La
          natura è un principio e una causa del movimento e della quiete in tutto ciò che esiste di
          per sé e non per accidente», Fisica, II, 1, 192b, 22-23, trad. it. di Antonio Russo, 1968,
          p. 29.
          11  Tra i Frammenti scritti da Galileo in relazione al Dialogo, che Favaro riunì e pubblicò
          di seguito a questo, se ne trova uno che sviluppa tale idea, però mettendolo in bocca a
          Salviati. Il passo suona: «Tu, Aristotile, determini  i moti semplici esser quelli che si
          fanno  per  linee  semplici,  e  chiami  linee  semplici  la  retta  e  la  circolare.  Ora,  se  la
          simplicità si deve attendere dalla simplicità della linea, il moto per una retta che passi

          per il centro sarà semplice, e come tale potrà esser naturale di qualche corpo semplice; e
          tale ancora sarà quello che traversi il cerchio senza passar per il centro: tuttavia poi tu
          dirai che il moto per la medesima retta sino al centro sarà contrario al conseguente per la
          medesima retta oltre al centro; e non vorrai più che il medesimo moto che tu chiamavi
          semplice, mercé dell’esser fatto per una stessa retta semplice, convenga al medesimo
          corpo semplice, e non vorrai che nell’istessa retta semplice siano moti contrarii.
          «Il  convenirsi  il  moto  semplice  al  corpo  semplice  bisogna  che  sia  un  moto  la  cui
          simplicità  si  attenda  da  altro  che  dalla  simplicità  della  linea;  perché  così  il  moto  al
          centro non sarebbe proprio e naturale de i gravi più che il moto del centro…» (Opere,
          VII, p. 546).
          12  Così è perché, nell’universo aristotelico, gli unici moti retti e naturali che possono
          esistere  sono  i  moti  verso  l’alto  o  verso  il  basso  dei  corpi  leggeri  o  pesanti,
          rispettivamente verso il loro luogo naturale e questi, secondo Aristotele (De caelo, I, 8,
          277a 28-30), sono accelerati.
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             Galileo allude qui ad Aristotele, De caelo, I, 2; si noti però che queste argomentazioni
          e tesi sono reperibili anche in Fisica, VIII, 8-9, 265 a e b.
          14  Vale a dire l’etere, che è la materia di cui nella cosmologia aristotelica si compone il
          mondo celeste.
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             Vale a dire i corpi del mondo sublunare costituiti dai quattro elementi.
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             Senza dubbio il riferimento è al termine greco «kosmos», con il quale i greci ci hanno
          indotti  a  pensare  all’universo  come  ordinato.  Comunque,  Aristotele  ritiene  che  un
          universo  disordinato  sia  un  controsenso  (si  veda  De  caelo,  III,  2,  301a),  e  Galileo
          condivide con lui questa premessa.
          17   Tutta  questa  argomentazione  assomiglia  straordinariamente  al  tipo  di  argomento
          logico e sistematico di Aristotele, che Galileo ha appena criticato. È ovvio che Galileo,
          come qualsiasi scienziato mai esistito, dà per scontato che il mondo sia naturalmente
          ordinato. Ma, come cristiano, ritiene più adeguata la metafisica creazionista di quella
          eternista. Risulta del resto chiaro che egli era affascinato, come tutti i suoi predecessori,
          dalla priorità del movimento circolare che solo Keplero, dopo una lunga lotta, avrebbe



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