Page 248 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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medesima sublimità per piani in qualsivoglia modo inclinati, all’arrivo all’orizonte son
          sempre eguali, rimossi gl’impedimenti» (Opere, VIII, p. 218).
          25   «Le  cose  hanno  la  stessa  velocità  se  in  un  tempo  uguale  attraversano  la  stessa
          magnitudine» (Aristotele, Fisica, VII, 294a 19).
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             Nei Discorsi, Galileo dà la seguente definizione: «Aequalem, seu uniformem, motum
          intelligo eum, cuius partes quibuscunque temporibus aequalibus a mobili peractae, sunt
          inter se aequales» («Moto eguale o uniforme intendo quello in cui gli spazi percorsi da
          un mobile in tempi eguali, comunque presi, risultano tra di loro eguali», Opere, VIII, p.
          191, trad. it. di Adriano Carugo, in Galilei [1958], p. 169).
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             Questo testo comporta una nuova definizione del concetto di velocità, come segnala
          Kuhn, 1977.
          28  Anche questa parte della cosmogonia platonica di Galileo è assai problematica. Infatti

          non  si  trova  traccia  di  tali  calcoli,  non  solo  in  nessuna  pubblicazione  posteriore,  ma
          neppure  nella  corrispondenza  di  Galileo,  cosa  che  per  molto  tempo  ha  giustificato
          l’asserzione che mai li fece. C’erano anche altri elementi che inducevano a pensarlo. Per
          esempio, il suo contemporaneo Mersenne eseguì effettivamente questi «lunghi e difficili
          calcoli» (Harmonie  universelle.  Seconde  Partie.  Traités  de  la  nature  des  sons  et  des
          mouvements de toutes sortes des corps, Parigi 1637, pp. 103-107) mostrando che non
          coincidevano affatto con l’ipotesi galileiana secondo la quale tutti i pianeti provengono
          da  uno  stesso  luogo.  Successivamente  Newton  che,  come  è  ben  noto,  era  molto
          interessato  a  dimostrare  la  necessità  dell’azione  di  Dio  nel  mondo,  si  occupò  della
          speculazione galileiana. Innanzitutto, fece notare che l’accelerazione costante supposta
          da  Galileo,  nei  pianeti  che  cadano  dallo  stesso  punto,  era  incompatibile  con  il
          comportamento di questi e delle loro orbite. Naturalmente, in accordo con la sua teoria
          della  gravitazione  universale,  Newton  ipotizzò  che  l’accelerazione  variasse  in
          proporzione  inversa  al  quadrato  della  distanza.  Ne  deriva  però  che  i  pianeti
          giungerebbero  alle  loro  rispettive  orbite  a  velocità  doppia  di  quella  necessaria  per
          mantenersi in esse. (Si veda in proposito l’analisi di I.B. Cohen, «Galileo, Newton and
          the Divine Order of the Solar System», in E.A. McMullin, a cura di, 1967, pp. 207-231.)
          Una svolta decisiva al problema è stata data da Drake che nel 1973 riportò alla luce una

          serie di manoscritti da lui datati al primo decennio del XVII secolo. Essi contengono
          solo  operazioni  matematiche  e  alcune  circonferenze  concentriche.  Dal  loro  esame
          sembra però risultare evidente che Galileo eseguì effettivamente i calcoli in questione,
          utilizzando le distanze dal Sole attribuite da Keplero ai pianeti nel capitolo 20 della sua
          opera  Harmonice  mundi,  pubblicata  a  Linz  nel  1619,  e  di  cui  gli  aveva  inviato  un
          esemplare.  Nel  suo  entusiasmo  filogalileiano  e  con  notevole  azzardo  interpretativo,
          Drake non solo afferma che Galileo compì con buon esito i calcoli menzionati ma arriva
          a  dire  che,  con  questo  lavoro,  Galileo  scoprì  la  terza  legge  di  Keplero.  L’articolo  in
          questione è «Galileo’s “Platonic” Cosmogony and Kepler’s Prodromus», in Journal for
          the History of Astronomy, 4 (1973), pp. 174-191. (Si può vedere anche Drake, 1990, pp.
          90  e  128-129.)  Un’interpretazione  più  prudente,  pur  nella  sua  necessaria  audacia,  è
          quella  di  Eric  Meyer,  1989.  Dal  suo  lavoro,  che  rende  evidenti  alcuni  errori
          fondamentali contenuti nell’interpretazione di Drake, si può dedurre che Galileo aveva
          già  compiuto  i  calcoli  che  nel  Dialogo  dichiara  di  rimandare  a  un’altra  occasione.




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