Page 244 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
P. 244

respinto. Per quanto riguarda i precedenti più immediati, è evidente che qui Galileo è del
          tutto copernicano e fa proprio un argomento già sviluppato da Copernico nel suo De
          revolutionibus,  I,  8,  dove  si  legge:  «Dunque,  come  dicono,  a  un  corpo  semplice
          appartiene  un  movimento  semplice  (il  che  si  verifica  in  primo  luogo  a  proposito  del
          circolare), tanto a lungo quanto il corpo semplice resta nel suo luogo naturale e nella sua
          unità. Infatti, in questo luogo il movimento non è altro che circolare, ed esso rimane
          interamente in sé, simile allo stato di quiete. Invece il movimento rettilineo sopravvive
          in quelle cose che si muovono fuori del loro luogo naturale, si che ne siano cacciate, sia
          che in qualche modo ne siano fuori. Ora nulla repugna tanto all’ordine del tutto e alla
          forma  del  mondo  quanto  il  fatto  che  qualcosa  sia  fuori  dal  suo  posto.  Dunque  il

          movimento rettilineo non accade se non alle cose che non si trovano a posto, e non sono
          perfette secondo natura, ma si separano dal loro tutto e abbandonano la loro unità».
          18  Come ha reso evidente Sambursky, «Galileo’s Attempt at a Cosmogony», in Isis, LIII
          (1962), pp. 460-463, dal momento che questa idea si trova in Platone, Galileo si riferisce
          qui al testo del Timeo 38a-39b, sebbene il testo platonico sia ben lungi dall’affermare
          ciò che gli attribuisce Galileo. Come fa notare A. Koyré, gli autori del tempo di Galileo
          nutrirono  grande  interesse  per  questa  concezione  platonica.  Mersenne,  che  non  era
          riuscito a imbattersi in questa dottrina in Platone, scrisse a Peiresc perché consultasse in
          merito  Gassendi,  ma  tutto  fu  inutile.  Non  maggior  fortuna  hanno  avuto  gli  studiosi
          moderni. «È stato così necessario arrendersi di fronte all’evidenza: per quanto sublime
          possa essere, la teoria in questione non si trova in Platone» (Koyré, 1972, p. 242).

          D’altro canto, in una lettera a Carcavy del giugno 1637 (Opere, XVII, p. 89), Galileo
          parla  della  sua  speculazione  come  di  «un  capriccio  et  una  bizzarria,  cioè  jocularis
          quaedam audacia». Ciò è parso legittimare l’ipotesi che in realtà Galileo non prendesse
          molto sul serio tale speculazione cosmologica. Sta però di fatto che, sia che si rifaccia a
          una  lettura  di  Platone,  sia  che  si  tratti  di  una  sua  invenzione,  qui  ne  fa  due  volte
          menzione,  nella  Giornata  prima  del  Dialogo,  e  nei  Discorsi  torna  a  riprenderla,
          riferendosi  a  essa  come  a  un  concetto  «degno  di  Platone;  ed  è  tanto  più  da  stimarsi,
          quanto  i  fondamenti  taciuti  da  quello  e  scoperti  dal  nostro  Autore,  con  levargli  la
          maschera o sembianza poetica, lo scuoprono in aspetto di verace istoria» (Opere, VIII,
          p.  284).  Tutto  questo  induce  a  credere  che  si  tratti  di  qualcosa  di  più  di  un  mero
          ornamento letterario (si veda in proposito Koyré, 1972, pp. 228-244). Umberto Barcaro
          ha avanzato più di recente l’ipotesi che il testo galileiano debba esser letto in una chiave
          simile  a  quella  riservata,  nell’opera  di  Platone,  ai  miti  mediante  i  quali  una  dottrina
          filosofica risulta illustrata con particolare efficacia in forma figurata («Riflessioni sul
          mito platonico del “Dialogo”», in Galluzzi, a cura di, 1984, pp. 117-128, specialmente
          p. 117).
          Si  può  inoltre  aggiungere  un  ulteriore  aspetto,  anch’esso  di  carattere  speculativo.
          Quando si rifletta in teoria sulla formazione della Terra a partire dal «primo caos», come

          dice anche Galileo, nel contesto del mito giudaico-cristiano della creazione, studiato da
          autori come Cartesio (Principi, IV, 2-3) e soprattutto dagli immediatamente successivi
          «teorici della Terra», da Thomas Burnet in poi, non sembra troppo azzardato ritenere
          che  Galileo  attribuisse  una  certa  verosimiglianza  alla  sua  idea  platonica.  Soprattutto
          perché, nel De motu, Galileo aveva già fatto certe riflessioni in merito. Si veda a questo




                                                          244
   239   240   241   242   243   244   245   246   247   248   249