Page 247 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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della pietra. Così dunque la velocità della pietra nella sua caduta aumenta nella misura
          in  cui  la  virtù  impressa,  che  adesso  agisce  ritardando  la  velocità  di  caduta,  si  va
          riducendo e quando essa scompare, la pietra raggiunge il massimo di accelerazione nella
          sua  caduta.  Questa  teoria  della  virtù  motrice  impressa  fu  ripresa  o  reintrodotta  da
          Filopono nel VI secolo d.C., nel secolo XII da alcuni autori arabi, che la denominarono
          mail, e da costoro passò in Europa nel XIV secolo a opera di Francesco di Marchia che
          la chiamò virtus derelicta. Forse ispirandosi a questa, Buridano, nel secolo XIV, elaborò
          una teoria diversa, la «teoria dell’impetus». A differenza della virtus impressa,  che  si
          consumava da sé, l’impetus, comunicato al proietto e responsabile della continuità del
          suo  movimento,  aveva  carattere  permanente  e  si  consumava  soltanto  a  causa  della

          resistenza dell’aria e del peso del corpo che lo portava verso il basso. Inoltre, l’impetus
          poteva essere misurato in funzione della quantità di materia del proietto e della velocità
          che  gli  era  stata  impartita.  La  teoria  dell’impetus  fu  usata  anche  per  spiegare
          l’accelerazione dei gravi in caduta: la gravità fa sì che un corpo pesante allontanato dal
          suo luogo naturale acquisisca, non solo movimento, ma anche un certo impetus che ha
          anch’esso la virtù di muovere e che si accresce a mano a mano che aumenta la velocità
          del movimento, col che viene a crearsi un circolo vizioso di maggior impetus, maggior
          velocità, vale a dire accelerazione. (Si veda M. Clagett, 1972, capp. 8 e 9.)
          Verso la fine del decennio 1930-1940, prima che storici come E. Moody e M. Clagett
          chiarissero  le  differenze  tra  le  teorie  della  virtus  impressa  e  dell’impetus,  Koyré
          sostenne che Galileo aveva conosciuto la teoria dell’«impetus» tramite l’opera di G.B.
          Benedetti,  e  l’aveva  inclusa  nel  suo  De  motu  pisano.  Effettivamente,  in  quest’opera
          Galileo si serve indistintamente delle espressioni virtus impressa e impetus,  ma  tanto
          con l’una come con l’altra si riferisce alla virtus impressa quale fu intesa da Ipparco e

          Francesco  di  Marchia  e  in  nessun  caso  all’impetus  quale  lo  intendeva  Buridano  e  lo
          riprese  Benedetti.  Moody  (Moody,  1951)  sostenne  che  Galileo  l’avesse  ripresa  da
          Avempace. Lo stesso Galileo ci dice che, dopo concepito personalmente la teoria, lui
          stesso aveva dimostrato che Ipparco l’aveva parzialmente formulata (Opere, I, pp. 319-
          320). In ogni caso, oltre a distinguere le due teorie medievali, adesso si sostenne che, nel
          suo  periodo  iniziale,  Galileo  aveva  ripreso  da  autori  medievali  quella  della
          virtusimpressa, laddove la teoria dell’impetus  di  Buridano  avrebbe  influito  in  periodi
          successivi sul suo sviluppo. Ma, sebbene non manchino casi (per esempio, Opere, VIII,
          p. 279) in cui Galileo interpreta l’impetus come causa del movimento, è certo che nella
          sua opera della maturità è molto lontano dalla concezione di Buridano e, al contrario di
          questi,  concepisce  l’impetus  o  impeto  come  un  effetto  del  moto  e  della  velocità.  Un
          esempio  di  quanto  andiamo  dicendo  si  trova  proprio  nel  testo  che  ha  dato  motivo  a
          questa nota. I gradi di impetus aumentano nella stessa proporzione dei gradi di velocità.
          Inoltre, questo aumento di impetus non influisce a sua volta sulla velocità, come invece
          succedeva nel circolo vizioso implicito nella concezione di Buridano. A volte Galileo
          parla indistintamente di grado di velocità e di impeto, nonché di grado di impeto, che
          sembra essere la contropartita dinamica del grado di velocità.
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             Nella Giornata terza dei Discorsi, questo viene enunciato come l’unico principio del
          movimento accelerato (Opere, VIII, p. 205) e poco più avanti lo si dimostra in termini di
          teorema:  «I  gradi  di  velocità  d’un  mobile  descendente  con  moto  naturale  dalla




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