Page 21 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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La  celebre  Ratio  studiorum  che  andò  sviluppandosi  nel  Collegio
          Romano, con un cospicuo apporto di Bellarmino, convertiva tutto questo

          in un obbligatorio programma pedagogico e culturale.
          Il Collegio Romano era una comunità teologico-filosofico-scientifica che

          trascese le previsioni del fondatore Ignazio di Loyola. La qualità del suo
          insegnamento era riconosciuta in tutt’Europa, e tra i membri del Collegio

          stesso, accanto ai migliori teologi, non mancavano filosofi e scienziati di
          alta competenza.

          Pedersen  sottolinea  che,  quale  disciplina  accademica,  l’astronomia
          faceva  ancora  parte  del  livello  introduttivo,  la  facoltà  delle  arti,
          propedeutica  a  studi  più  avanzati,  come  diritto,  medicina  e  teologia,

          ragion  per  cui  veniva  insegnata  a  un  livello  assai  modesto  e  si
          utilizzavano  manuali  elementari  come  la  Sphaera  del  Sacrobosco,  che

          già allora erano ritenuti antiquati. La conseguenza era che molte volte i
          professori,  lungi  dall’essere  grandi  astronomi,  non  erano  neppure
          competenti  in  materia,  e  non  è  strano  che  tra  essi  si  manifestasse

          un’esplicita resistenza alle innovazioni o alle osservazioni telescopiche
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          di Galileo, che ben difficilmente erano in grado di assimilare.  Non fu
          questo il caso del Collegio Romano.

          Rispetto  all’immobilismo  di  altre  istituzioni  didattiche  cattoliche,  nel
          Collegio  Romano  le  matematiche  ebbero  un  posto  di  notevole  rilievo.

          Fin dall’inizio fu loro attribuita un’importante funzione pedagogica alla
          luce del suo valore nella formazione di rigorose abitudini argomentative,
          nonché  una  funzione  strumentale  che  non  entrava  in  conflitto  con  la

          classificazione delle scienze aristoteliche. Grazie a questa tradizione, il
          matematico  e  astronomo  Cristoforo  Clavio  poté  opportunamente

          insistere sull’importanza delle matematiche nel curriculum del filosofo
          naturale. Egli faceva propria l’opinione che


                   «…  non  è  possibile  giungere  a  un’esatta  conoscenza  della  fisica  senza  il
                   concorso di quelle [le matematiche], soprattutto per quanto riguarda quella parte
                   che si occupa del numero delle sfere celesti e dei loro moti, della moltitudine
                   delle  intelligenze,  degli  effetti  degli  astri  derivanti  dalle  diverse  congiunzioni,
                   opposizioni  e  distanze  tra  loro,  della  divisione  delle  quantità  continue  fino

                   all’infinito,  del  flusso  e  riflusso  del  mare,  dei  venti,  delle  comete,
                   dell’arcobaleno,  dell’alone  e  di  altri  fenomeni  meteorologici,  come  pure  delle
                   proporzioni, qualità, passioni, azioni e reazioni dei moti, sulle quali tanto hanno
                   scritto  i  calculatores…;  è  in  effetti  a  causa  della  loro  ignoranza  se  numerosi
                   professori di filosofia sono frequentemente incorsi in equivoci, commettendo gli




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