Page 137 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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quando non semplicemente falso. Galileo credeva infatti che il decreto fosse un
grossolano errore e aveva tentato con tutti i mezzi di evitare la condanna della teoria
copernicana. Nel 1615, si era recato a Roma per fare in modo che la Chiesa non si
pronunciasse in merito provocando uno scontro tra l’indagine scientifica e la religione,
da lui ritenuto non necessario. Con la lettera a Castelli che in seguito, ampliata, sarebbe
divenuta la famosa Lettera a Cristina di Lorena, Galileo ritenne di poter dare gli
argomenti indispensabili alla dimostrazione della compatibilità tra l’eliocentrismo e la
Bibbia. E con il Discorso del flusso e reflusso del mare, che del pari scrisse in quel
torno di tempo, credette di fornire la prova scientifica definitiva del doppio moto
terrestre. La lettera suscitò però un’offensiva di tale vigore contro la tesi di Galileo, che
questi decise di non pubblicare la sua prova. Ottenne, certamente, udienze e plausi, ma
dalla sua corrispondenza risulta chiaramente che un po’ alla volta egli assunse
consapevolezza degli intrighi e della doppiezza dei suoi nemici: «Trovo che mi erano
stati tesi tanti lacci, che impossibil era che io non restassi colto a qualcuno, del quale poi
tardi o non mai, o non senza grandissima difficoltà, io mi fussi potuto distrigare…»
(Opere, XII, pp. 222 ss.). Fu tutto inutile. Prima della pubblicazione del decreto di
condanna del copernicanesimo Galileo non fu consultato, bensì avvertito e ammonito da
Bellarmino. Ma abbiamo già detto che il contenuto di queste pagine fu imposto a
Galileo.
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Da intendersi nella sua accezione geografica.
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Nella versione di questo testo che il padre Riccardi inviò al censore di Firenze in un
primo momento era stato scritto «mobilità» ma, come fa notare Favaro, era stato
corretto e sostituito con «immobilità». È questa l’unica differenza tra il testo inviato dal
censore e quello pubblicato.
6 Si riferisce al Discorso del flusso e reflusso del mare da lui redatto nel 1616.
7 Sagredo (1571-1620) fu discepolo di Galileo e uno dei suoi migliori amici; lo aiutò sia
sotto il profilo economico sia nei suoi rapporti accademici e professionali. Di famiglia
patrizia, tra il 1608 e il 1611 esercitò la funzione di console della Repubblica di Venezia
ad Aleppo, in Siria. Scienziato appassionato, si entusiasmò per il De Magnete di Gilbert
ripetendo, insieme a Paolo Sarpi, molti dei suoi esperimenti con la calamita. Aveva una
straordinaria abilità nella fabbricazione di strumenti e progettò una macchina per
fabbricare viti. Era infatti un colto ed eccellente conversatore e l’interesse e la simpatia
che nutriva per le nuove idee scientifiche, attribuitigli da Galileo nel Dialogo, a quanto
pare rispondono alla realtà. In molte occasioni, sia nel Dialogo stesso che nei Discorsi,
vengono poste in bocca a Sagredo numerose idee che Galileo aveva precedentemente
difeso o che, certo per prudenza, non vuole mettere in bocca a Salviati che è la sua
stessa incarnazione.
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Salviati (1583-1614) era un nobile fiorentino che probabilmente fu anch’egli discepolo
di Galileo e certamente grande amico suo. Anche Salviati infatti lo ospitò più volte nel
suo palazzo, e in quella sede si tennero, per esempio, le discussioni destinate a dare
origine al Discorso intorno alle cose che stanno in su l’acqua del 1612. Salviati funse
da intermediario tra Galileo e Welser a proposito delle lettere sulle macchie solari. Morì
a Barcellona quando, umiliato da un membro della casata dei Medici in una questione di
precedenza, decise di fare un viaggio. Qui rappresenta lo stesso Galileo.
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