Page 135 - Galileo Galilei - Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo
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mobile, come anco quiescente; e spero che in questo caso si paleseranno
          molte        osservazioni          ignote       all’antichità.        Secondariamente              si

          esamineranno  li  fenomeni  celesti,  rinforzando  l’ipotesi  copernicana
          come se assolutamente dovesse rimaner vittoriosa, aggiungendo nuove

          speculazioni,  le  quali  però  servano  per  facilità  d’astronomia,  non  per
          necessità di natura. Nel terzo luogo proporrò una fantasia ingegnosa. Mi

          trovavo aver detto, molti anni sono, che l’ignoto problema del flusso del
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          mare potrebbe ricever qualche luce, ammesso il moto terrestre.  Questo
          mio  detto,  volando  per  le  bocche  degli  uomini,  aveva  trovato  padri
          caritativi che se l’adottavano per prole di proprio ingegno. Ora, perché

          non possa mai comparire alcuno straniero che, fortificandosi con l’armi
          nostre, ci rinfacci la poca avvertenza in uno accidente così principale, ho

          giudicato  palesare  quelle  probabilità  che  lo  renderebbero  persuasibile,
          dato  che  la  Terra  si  movesse.  Spero  che  da  queste  considerazioni  il
          mondo  conoscerà,  che  se  altre  nazioni  hanno  navigato  più,  noi  non

          abbiamo speculato meno, e che il rimettersi ad asserir la fermezza della
          Terra,  e  prender  il  contrario  solamente  per  capriccio  matematico,  non

          nasce da non aver contezza di quant’altri ci abbia pensato, ma, quando
          altro  non  fusse,  da  quelle  ragioni  che  la  pietà,  la  religione,  il

          conoscimento della divina onnipotenza, e la coscienza della debolezza
          dell’ingegno umano, ci somministrano.

          Ho poi pensato tornare molto a proposito lo spiegare questi concetti in
          forma  di  dialogo,  che,  per  non  esser  ristretto  alla  rigorosa  osservanza
          delle leggi matematiche, porge campo ancora a digressioni, tal ora non

          meno curiose del principale argomento.
          Mi trovai, molt’anni sono, più volte nella maravigliosa città di Venezia

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          in  conversazione  col  Sig.  Giovan  Francesco  Sagredo,   illustrissimo  di
          nascita,  acutissimo  d’ingegno.  Venne  là  di  Firenze  il  Sig.  Filippo

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          Salviati,  nel quale il minore splendore era la chiarezza del sangue e la
          magnificenza delle ricchezze; sublime intelletto, che di niuna delizia più
          avidamente si nutriva, che di specolazioni esquisite. Con questi due mi
          trovai spesso a discorrer di queste materie, con l’intervento di un filosofo

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          peripatetico,  al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per
          l’intelligenza  del  vero,  che  la  fama  acquistata  nell’interpretazioni
          Aristoteliche.
          Ora, poiché morte acerbissima ha, nel più bel sereno de gli anni loro,

          privato di quei due gran lumi Venezia e Firenze, ho risoluto prolungar,




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