Page 89 - La filosofia come esercizio spirituale.
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sia della vanità delle cose sia dell’importanza di cogliere al meglio il
momento presente:
«Nulla può accadere a nessun uomo che non sia vicenda pertinente all’ordine umano. Del resto a
un bove nulla può accadere che non sia bovino; a una vigna nulla che non appartenga all’ordine
delle viti; né a una pietra cosa estranea all’ordine petrigno.
Conseguenza: se a ciascuna cosa accade sempre quello che rientra nell’ordine suo normale e
nell’ordine naturale, per quale motivo dovresti tu fare il difficile?
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Vedi bene che la comune natura non intende recarti nulla che tu non possa sopportare.»
Ed è proprio l’esercitarsi alla sopportazione la terza finalità del continuo
soliloquio con se stessi; paventarsi possibili disgrazie future, avere ben chiara
in mente la loro realizzazione come se si stessero svolgendo in questo
momento per essere spiritualmente preparati una volta che diverranno realtà e
abituarsi così alla fugacità.
Citando le parole di Epitteto riportate nel Manuale:
«Non dire mai di nessuna cosa: “l’ho persa”, ma “l’ho restituita”. È morto tuo figlio? È stato solo
restituito. È morta tua moglie? È stata solo restituita. “Mi è stato tolto il podere”: no, anche questo
è stato solo restituito. “Ma chi me l’ha portato via è un malvagio”: che cosa ti importa attraverso
chi, colui che te lo aveva dato, ne ha chiesto la restituzione. Finché te lo concede, abbine cura
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come di una cosa altrui, come fanno i viaggiatori in una locanda.»
Al di là del soliloquio con se stessi vi è la contemplazione della natura, che
nella visione filosofica antica consisteva nello studio della fisica e degli
eventi naturali.
Lungi dall’essere un semplice interesse di eruditismo o, come nei giorni
nostri, un mero strumento in mano allo scientismo, lo studio della fisica era un
gradino di elevazione spirituale, che proprio nella sua componente
contemplativa permetteva all’animo di nobilitarsi, di astrarsi dalle questioni
volgari quotidiane per innalzarsi a un livello di coscienza superiore. Come
scrive Seneca in una lettera a Lucilio:
«Perché mai, tu dici, ti piace consumare il tempo in codesti problemi che non ti tolgono alcun
tormento dell’animo, che non annullano alcun desiderio importuno? Quanto a e, affronto e porto
avanti preferibilmente quei temi con cui l’animo si placa, e analizzo dapprima me stesso, poi
l’universo. Nemmeno ora perdo tempo, come tu credi: di fatti, tutti questi argomenti, purché non
vengano sminuzzati e distorti da varie sottigliezze, elevano e confortano l’animo, che, oppresso da
un greve fardello, desidera liberarsene e tornare a quegli elementi di cui era stato parte
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integrante.»