Page 88 - La filosofia come esercizio spirituale.
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Essa si pratica in due modi: con un perpetuo soliloquio con se stessi e con

               la contemplazione consapevole della natura.
                  Per  quanto  riguarda  il  primo  esercizio,  una  delle  descrizioni  migliori  è
               quella che dà Seneca nel De ira:


                   «Io mi avvalgo di questa possibilità, e mi metto sotto processo ogni giorno. Quando hanno portato
                   via la lucerna e mia moglie, che conosce la mia abitudine, tace, io scruto l’intera mia giornata e
                   controllo tutte le mie parole e azioni, senza nascondermi nulla. [...] Diamo pace al nostro animo,
                   quella pace che deriva dalla continua meditazione dei dettami salutari, dalle azioni buone e da una
                   mente  intenta  a  desiderare  solo  la  virtù.  Pensiamo  a  soddisfare  la  nostra  coscienza,  senza
                   preoccuparci della fama.» 220


                  Esso  consiste  in  un  continuo  dialogo  interiore,  per  riportare  alla  mente  i
               principi della scuola e vagliare la propria psyché per assicurarsi dei risultati
               raggiunti.  In  questa  prospettiva  la  scrittura  stessa  diviene  una  forma  di

               meditazione,  un  diario  personale  espressione  di  un  continuo  ruminare
               (utilizzando  un  termine  nietzschiano),  con  lo  scopo  di  assorbire  gli
               insegnamenti filosofici e vagliare i propri progressi. Emblema di tale forma di
               esercizio  sono  le  Lettere  a  Lucilio,  sempre  dello  stesso  Seneca,  che  prima
               ancora di essere lettere indirizzate all’amico erano meditazioni che il filosofo

               romano riservava a se stesso.
                  La  funzione  propedeutica  della  scrittura  si  rivela  in  forma  ancora  più

               accentuata  nei  Ricordi  di  Marco  Aurelio,  che  rappresentano  un  prezioso
               esempio  di  come  la  meditazione  filosofica  scritta  fosse  un  esercizio
               precisamente strutturato.    221

                  Scrive infatti Hadot:

                   «I pensieri di Marco Aurelio [...] ci conservano un notevole esempio di un genere letterario che
                   doveva essere molto frequente nell’antichità, ma che il suo stesso carattere destinava a scomparire
                   facilmente:  gli  esercizi  di  meditazione  affidati  a  un  testo  scritto.  Come  vedremo  ora,  le  formule
                   pessimistiche  di  Marco  Aurelio  non  sono  l’espressione  delle  opinioni  personali  di  un  imperatore
                                                                           222
                   deluso, sono esercizi spirituali praticati secondo metodi rigorosi.»


                  Difatti, oltre al vaglio dei propri progressi, un secondo esercizio di scrittura
               meditativa,  ricorrente  nei  Ricordi,  consiste  nell’isolare  col  pensiero  un
               momento  di  continuità  temporale,  anche  un  semplice  avvenimento  di  vita
               quotidiana,  per  poi  passare  dalla  parte  al  tutto.  Lo  scopo  è  inquadrare  tale
               avvenimento in una visione complessiva del cosmo, prendendo così coscienza
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