Page 49 - La filosofia come esercizio spirituale.
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contemplativa permetteva all’animo di nobilitarsi, di astrarsi dalle questioni

               volgari  quotidiane  per  innalzarsi  a  un  livello  di  coscienza  superiore.  Come
               scrive Seneca in una lettera a Lucilio:

                   «Perché  mai,  tu  dici,  ti  piace  consumare  il  tempo  in  codesti  problemi  che  non  ti  tolgono  alcun
                   tormento dell’animo, che non annullano alcun desiderio importuno? Quanto a e, affronto e porto
                   avanti  preferibilmente  quei  temi  con  cui  l’animo  si  placa,  e  analizzo  dapprima  me  stesso,  poi
                   l’universo. Nemmeno ora perdo tempo, come tu credi: di fatti, tutti questi argomenti, purché non
                   vengano sminuzzati e distorti da varie sottigliezze, elevano e confortano l’animo, che, oppresso da
                   un  greve  fardello,  desidera  liberarsene  e  tornare  a  quegli  elementi  di  cui  era  stato  parte
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                   integrante.»

                  La contemplazione consapevole della natura libera l’anima dell’uomo dalle
               sue  catene  e  allo  stesso  tempo  infonde  in  lui  il  piacere  della  conoscenza,
               nonché  il  piacere  estetico  delle  bellezze  naturali,  dell’ordine  intrinseco  del
               cosmo espressione del Lògos divino che regola ogni cosa. In quest’ottica, gli

               esempi  principali  sono  il  De  rerum  natura  di  Lucrezio  e  le  Naturales
               quaestiones di Seneca, testi in cui, per di più, la contemplazione della natura
               ha lo scopo liberare l’uomo dalla superstizione e dalla paura della morte.

                  Una pratica contemplativa propedeutica all’ultimo grande passo spirituale
               che  l’anima  del  filosofo  deve  compiere:  la  dissoluzione  consapevole  del
               proprio io nella natura contemplata.

                  Non  si  tratta  di  un  semplice  esercizio  mentale,  bensì  di  un’esperienza
               vissuta, che può soltanto essere provata sulla propria pelle e che è difficile da

               descrivere a parole.
                  Hadot  dà  molta  importanza  a  quest’ultima  esperienza,  che  egli  chiama  il
               “sentimento  oceanico”,  riprendendo  una  definizione  data  da  Romain

               Rolland.   108   Si  tratta  di  un’esperienza  estatica,  non  caratterizzata  però  dalla
               sfrenatezza  e  dalla  perdita  di  coscienza  tipici,  ad  esempio,  dei  rituali
               dionisiaci e del misticismo sciamanico. Utilizzando la descrizione che Michel

               Hulin ne dà in Misticismo Selvaggio, Hadot parla di questa esperienza come

                   «il sentimento di essere presente qui e ora in mezzo a un mondo anch’esso intensamente esistente.
                                                                                                      109
                   [...] Un sentimento di coappartenenza essenziale tra me stesso e l’intero universo circostante».

                  Considerando  la  forte  educazione  cattolica  che  il  filosofo  francese  ha
               ricevuto  durante  l’infanzia  e  l’adolescenza,  per  volere  della  madre,  si

               potrebbe  pensare  che  l’insistenza  con  cui  sottolinea  l’importanza  di  tale
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