Page 48 - La filosofia come esercizio spirituale.
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«Come è importante, di fronte ai manicaretti e altri cibi del genere, accogliere la rappresentazione
                   “Questo è un cadavere di un pesce, questo è il cadavere di un uccello o di un maiale”, e ancora: “Il
                   Falerno è succo d’uva” e “La porpora è lana di pecora tinta con sangue di conchiglia” e “L’unione
                   sessuale è uno sfregamento di ventri e secrezione di muco accompagnato da spasmo”. Come sono
                   importanti queste rappresentazioni che raggiungono le cose in sé e le attraversano da parte a parte,
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                   in modo da vedere quali sono in realtà....»

                  Tale  esercizio  è  presente,  sotto  altra  forma,  anche  in  ulteriori  scuole
               filosofiche ed è definito da Hadot come “lo sguardo dall’alto”. Si tratta di un
               esercizio  dell’immaginazione  che  consiste,  per  il  filosofo,  nel  prendere

               coscienza del proprio posto all’interno del Tutto e della propria piccolezza nei
               confronti di esso, ma allo stesso tempo dell’immensità della sua anima capace,
               con il solo pensiero, di abbracciare la totalità delle cose. Una pratica che si

               ritrova  sia  nell’aristotelismo,  in  particolare  nella  formulazione  della  teoria
               dell’Intelletto  data  da  Alessandro  di  Afrodisia,  secondo  il  quale  l’anima
               umana  è  immortale  finché  contempla  con  il  proprio  intelletto  l’Intelletto
               divino, ma soprattutto nella tradizione platonica che si concentra sull’esegesi
               del Timeo,  testo  in  cui  si  trova  lo  sguardo  più  ampio  dato  da  Platone  sulla

               natura delle cose.
                  Una  contemplazione  della  natura  che,  però,  non  è  soltanto  “mentale”  ma

               soprattutto  estetica.  La  contemplazione  della  natura  infatti  consisteva,  nella
               visione  filosofica  antica,  nello  studio  della  fisica  e  degli  eventi  naturali.
               “Fisica”  che  non  deve  assolutamente  intendersi  come  la  pratica  conoscitiva
               sviluppata dalla rivoluzione scientifica in poi.

                  Stando alla descrizione che ne dà Hadot in Che cos’è la filosofia antica?:

                   «La fisica antica non pretende di offrire un sistema della natura che sia assolutamente rigoroso in
                   tutti  i  particolari.  Esistono  indiscutibilmente  dei  principi  generali  esplicativi  [...]  esiste  anche  una
                   visione globale dell’universo. Ma per spiegare fenomeni particolari il filosofo antico non pretende di
                   raggiungere  certezza;  egli  si  accontenta  di  proporre  un’unica  o  diverse  spiegazioni  verosimili  o
                   ragionevoli,  che  soddisfino  lo  spirito  e  procurino  piacere.  [...]  Si  tratta  di  imparare  a  trattare  i
                   problemi con approccio metodico, come nel caso di Aristotele, sia di consacrarsi a ciò che Epicuro
                   chiama l’esercizio continuo della scienza della natura, esercizio che, egli dice, “Porta al culmine
                   della serenità in questa vita”, sia di elevare lo spirito con la contemplazione della natura. Questo
                   esercizio ha dunque un fine morale, la cui connotazione, pur differendo senza dubbio nelle diverse
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                   scuole, è sempre riconosciuta.»

                  Lungi dall’essere un semplice interesse erudito, lo studio della fisica era un
               gradino  di  elevazione  spirituale,  che  proprio  nella  sua  componente
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